Un anno musicalmente ricco di uscite sorprendenti, di validi e graditi ritorni, di un recupero di sonorità che credevamo quasi dimenticate…
Il giudizio, che non vuole essere una classificazione, è strutturato come una lista che a grandi linee si prospetta in modo riepilogativo sugli ascolti migliori che in ordine di uscita hanno contraddistinto al meglio l’annata appena finita.
GENNAIO
BENJAMIN CLEMENTINE – At Least For Now
Il disco del mese di gennaio e il miglior esordio dell’anno, senza ombra di dubbio. Benjamin Clementine è l’immediatezza del soul che dalla strada ha preso asfalto e ciottoli e li ha catapultati sulle note del pianoforte come sassate precipitate a cascata. Un disco che si avvale di assoli travolgenti, di momenti di lirismo puro vocalmente esitante e dirompente allo stesso modo, e di una virale melanconia ribelle.
Brano di punta: Condolence
FEBBRAIO
UMBERTO MARIA GIARDINI – Protestantesima
Il post-Moltheni ha l’autorità e la coerenza artistica del vero Umberto Maria Giardini. Poesia musicale al servizio di una visione contenutistica sensazionale, quasi mistica nel suo assunto. Fa cullare le note su melodie soavi, disadorne e riflesse nello specchio dell’anima. Probabilmente il più bel disco italiano degli ultimi 15 anni e scelta speciale del mese di febbraio. Giardini è capace di tessere trame elaborate e assolutamente raffinate, oltre che cinematiche, anche per mezzo degli innumerevoli spazi strumentali che tracciano una linea in diversi suoi brani, cosa che credevamo persa nella marea banal-pop nostrana.
Brano di punta: Il Vaso di Pandora
DANIELE CELONA – Amantide Atlantide
La grinta, la forza, l’istinto, la passione, la critica di petto. Un concentrato di disordine emotivo nell’ordine del pensiero, tra sentite ballad e ipocrisie gridate al vento. Daniele Celona ha una gran voce, canta spesso incazzato contro i luoghi comuni, riuscendo a farlo con tono e vigore e senza lasciarsi trasportare dagli umori lunatici dell’istinto che non sente ragioni. E meno male! Era da tempo che non si avvertiva tanta sincerità in un cantautore italiano.
Brano di punta: Sud-Ovest
Il pop orchestrale fondato sulla pacatezza dell’assunto di Daniel Knox raggiunge la piena maturità artistica, con quel suo vocione e una copertina che sembra fuoriuscita da un quadro di Van Gogh. Svetta la tempra delle sue ballate, intrise di echi lontani e di un fascino compositivo vintage al rallentatore.
Brano di punta: Incident at White Hen
FATHER JOHN MISTY – I Love You, Honeybear
Ballate dall’afflato spiritual tra Van Morrison, Rufus Wainwright e John Grant. Un disco che sarebbe stato perfetto come uscita di Natale ma che s’incastra perfettamente agli inizi di un’annata semplicemente perfetta. Un mirabile equilibrio accomuna l’intero album che a tratti è davvero eccelso.
Brano di punta: Bored in the U.S.A.
MARZO
Il songwriting dell’esordio di Tobias Jesso Jr. ha il calore della polvere che si posa cautamente sui vinili del passato, il tocco pianistico di un Elton John, la leggerezza incantata di un Billy Joel, la sicumera poetica dei Simon & Garfunkel. Pop a braccetto con sprazzi di andante personalità creativa. I vecchi tempi tornano a risplendere di una luce vecchia ma ancora necessariamente affascinante. Unico difetto, a lungo andare le canzoni rivelano diverse similitudini. Resta la scelta migliore del mese di marzo.
Brano di punta: Hollywood
LAURA MARLING – Short Movie
Laura Marling ha ormai acquisito una consapevolezza dei propri mezzi invidiabile, già evidente nell’album precedente che nel 2013 elessi ad album dell’anno. Qui riesce a generare delle melodie e degli arrangiamenti sopraffini, lasciando emergere appieno tutta la sua delicatezza che s’infiltra nel nostro udito come il soffiare docile di un mite vento del cambiamento.
Brano di punta: Short Movie
COURTNEY BARNETT – Sometimes I Sit and Think, And Sometimes I Just Sit
Se l’album di Clementine è l’esordio dell’anno, quello di Courtney Barnett viene subito dopo. La cantautrice australiana sforna un disco in bilico tra la primissima PJ Harvey e Joan Jett. Sfoggia uno slacker-pop-rock acidulo derivante da tante band marginali, suona molto d’istinto, stiracchiando le corde della chitarra elettrica con finezza e fiero provocazionismo. Ne sentiremo parlare.
Brano di punta: Pedestrian at Best
STEVENS SUFJAN – Carrie & Lowell
L’aspetto intimo e minimalista di questo lavoro, dedicato alla madre e al patrigno, citati nel titolo dato all’album, impreziosisce il percorso musicale vario e composito di questo vero e proprio artista della forma-canzone. Dopo i barocchismi e gli esempi alt-folk del 2010, eccolo sprigionarsi libero e incantato nell’andirivieni soffuso, nudo e sempre sussurrato di questo album che avrà un ruolo importante nella sua discografia, seppur non proprio quello più fulgido.
Brano di punta: Should Have Known Better
Gioco lisergico cosmic-rock d’applausi a scena aperta questo terzo percorso strumentale ipnotico della band cilena, tutto giocato su trip di distorsioni di chitarra, tappeti di synth, bassi estenuanti su una sezione ritmica palpitante, suoni elettronici atonali. Un monolite del suono.
Brano di punta: Piure
APRILE
Il quartetto di musicisti inglesi degli esordi punk nella magnifica new wave di fine anni ’70, sforna il miglior disco della loro personale fase 2000. Arrangiamenti curatissimi, suono decisamente più piacevole, anche rispetto a quello degli esordi, una scorza più pop che rock, senza che ci si perda per strada l’aplomb decadentista, e una sequela di canzoni che funzionano a dovere, che si rivelano poco a poco orecchiabilissime. A 40 anni dall’esordio, una creatività a questi livelli è cosa piuttosto rara. Il disco del mese di aprile.
Brano di punta: Swallow
CHIHEI HATAKEYAMA – Moon Light Reflecting Over Mountains
L’ambient-drone di questo artista del suono giapponese è al suo apice. Suoni sulfurei della frangia sacrale su basse frequenze si distendono in luminose ed eteree soluzioni sonore a cavallo tra pianure e montagne dalle sonorità immaginifiche. Qualcosa di unico. Consigliato in notturna o alle prime luci dell’alba.
MAGGIO
OTHER LIVES – Rituals
Un capolavoro di finezza compositiva quasi impossibile da definire. Un paradisiaco viaggio dentro il sound unico al mondo degli Other Lives, giunti al secondo lavoro. Rituali di leggere brezze armoniche per solitari vagabondi all’alba dei tempi o al tramonto dei giorni andati che non cessano mai di tornare. Pop orchestrale con venature folk-rock. Non credo calzi al meglio, eppure suona tutto meravigliosamente.
Brano di punta: 2 Pyramids
Il secondo disco di questa blueswoman in ascesa, rivela doti in crescita e rimandi nel solco di Patti Smith e PJ Harvey, tra sospensioni slow-core e slanci elettrici.
Brano di punta: New Skin
GIUGNO
Il secondo disco di Bill Ricchini, in arte Summer Fiction, registrato in un casolare ottocentesco di Manchester adibito a studio di registrazione, recupera con brio e nostalgia le atmosphere retro-pop a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, nel solco di radici folk popolari, tra chitarre jangle e ornamenti surf. C’è molto di Paul Simon in questo lavoro, oltre che una terribile nostalgia, tra sbalzi giocosi e volute languide col sorriso stretto fra i denti per un’epoca che non tornerà più.
Brano di punta: By My Side
JOSEPH ARTHUR – Days of Surrender
Joseph Arthur non sbaglia un colpo, continuando ad auto-prodursi. Il seguito di Lou, splendido disco fondato interamente su cover di canzoni di Lou Reed, suona come un disco elettro-acustico da camera, d’influsso libero e inventivo. Un album che dà la sensazione di essere ascoltato nel momento stesso in cui viene creato.
Brano di punta: Break
LUGLIO
Mezz’ora in cui i Wilco, dopo vent’anni di carriera, abbandonano una volta per tutte l’alt-country che li aveva quasi sempre contraddistinti. Decidono di divertirsi ripercorrendo non solo il solco musicale dei dischi centrali della loro discografia, ma anche la musica che hanno dichiaratamente avuto più nel cuore: il pop raffinato beatlesiano (palese nella lennoniana Magnetized) e il rock barocco e decadente di Lou Reed (evidente in The Joke Explained e in You Satellite). Nulla di nuovo ma tutto amalgamato con perizia tecnica, un pizzico d’imprevedibilità e un gusto per il suono apprezzabilissimo. Caratteristiche che fanno di questo disco la primissima scelta del mese di luglio e forse la seconda dell’anno.
Brano di punta: You Satellite
AGOSTO
Il disco del mese di agosto è la scheggia impazzita dell’anno, il decimo, quello del notevole salto di qualità di Dan Bejar, in arte Destroyer. Qualcosa di assolutamente slegato dai trend generali. Certo, si sentono gli echi di un certo jazz-rock ‘70ies, con le innegabili impronte di David Bowie e Tom Waits, oltre che una discreta influenza chamber-pop alla Tindersticks, ma la forza di questo album sta soprattutto nella capacità di sorprendere, di spiazzare l’ascoltatore con arrangiamenti sopraffini, rivelanti l’intrusione frastornante di un sax che è il vero protagonista della scena.
Brano di punta: Forces From Above
Una ventata di garage-rock con tratti pop e incidenze ruvide post-punk sprizzanti tanto sudore su chitarre trascinanti. Il secondo disco abbellisce l’immediatezza sporca ma inconsistente del primo lavoro. Disco rock dell’anno, senza ombra di dubbio. Ha il piacere di concedersi anche una capatina di specie romantica.
Brano di punta: Love Her If I Tried
SETTEMBRE
Quello che Ryan Adams fa è prendere uno di quei dischi pop fortemente radiofonici e trasformarlo in un omaggio al rock americano anni ’80 in salsa Springsteen. Lo fa nel migliore dei modi, rendendo irriconoscibili i brani originali, lasciando che le melodie si sprigionino secondo un omaggio a un’epoca che è rimasta nel cuore al talentuoso ed eclettico cantautore americano, autore di alcuni dei più bei dischi degli anni Duemila.
Brano di punta: All You Had To Do Was Stay
La regina del pop sposa la maturità con un disco languidamente costipato dentro soffuse, narcolettiche, sulfuree atmosfere old-vintage. Seduzione, malinconia e melodramma in salsa noir.
Brano di punta: God Knows I Tried
OTTOBRE
Matt Berninger si prende una pausa dai The National, la miglior band degli ultimi 15 anni, e decide di unirsi all’amico Brent Knopf dei Menomena e Ramona Falls, per un disco dove il gioco minimal-pop e funky assume un contorno da humour-dark. Come se le due personalità di Berninger e Knopf, dai toni malinconici o comunque più cupi della nuova risultante, ne avessero liberata una spiritosamente colorata, perfetta per il tipico black-humour da notte di Halloween.
Brano di punta: I’m the Man to Be
Una chitarra minimalista e una voce evocativa rotta nel rimpianto e nel dolore. L’esordio di Julien Baker è un crescendo di emozioni inizialmente trattenute, che cavalcano l’onda dell’ingiustamente dimenticata Karen Dalton, per poi soggiacere maggiormente dalle parti di Cat Power. Diverse sono le cantautrici che negli ultimi anni stanno abbracciando l’orizzonte dell’intimismo del sad-folk. Julien Baker, per la sua sincerità, è quella che emoziona di più.
Brano di punta: Something
BEACH HOUSE – Thank Your Lucky Stars
Il disco più sensuale e notturno dell’anno, sotto un certo punto di vista accostabile a quello di Lana Del Rey, ma più basato su un dettame onirico che è come un filamento senza margini di definizione certa. Rarefazione ai massimi livelli a favore di un dream-pop che si dimostra essere come il genere più battuto dalla musica contemporanea, al pari del rap, dell’elettronica e dell’alternativo ambient (terreno di sicura sperimentazione). Fa coppia con il poco antecedente Depression Cherry.
Brano di punta: Somewhere Tonight
NOVEMBRE
Il cantautorato composto e gentile di Findlay Brown giunge alla piena maturità in quello che è, senza reali pretendenti, il disco di novembre. Ne delinea anche le piovose, rugiadose atmosfere che cominciano ad affacciarsi al Natale. La calda voce di Findlay si libera totalmente serpeggiando tra armonie dream-pop, folk, ambient e negli interstizi della prolifera sperimentazione; il tutto condito da illuminanti accenti gospel.
Brano di punta: All is Love
Il candore, la delicatezza, la purezza di Carla Morrison hanno davvero pochi eguali. Il suo canto è un incanto, e poco importa se il disco alla lunga risulti un poco stucchevole. Resta un esempio di pop latino di alta qualità. Basta lasciarsi accarezzare dalle docili e suadenti melodie tipicamente dream-pop di una cantante che spesso e volentieri finisce per piangere dall’emozione nel corso delle sue sentite esibizioni.
Brano di punta: No Vuelvo Jamás
DICEMBRE
Sergey Onischenko, in arte Make Like A Tree, è un cantautore ucraino che decide di viaggiare per il mondo imbracciando la sua chitarra per cominciare presto a comporre canzoni. Dopo una serie di brani e collaborazioni con vari musicisti, ci offre il suo esordio alt-folk nel libero arieggiare mistico e sensuale del canto e della musica che ci accompagna con un sublime senso di quiete. Atmosfera pervasa da un afflato di armonia con la natura nell’indirizzo di un sano folk spirituale. La scelta più logica per chiudere una vibrante annata.
Brano di punta: Hey Ocean (titolo e testo in lingua nativa)
DELUSIONE
MUMFORD & SONS – Wilder Mind
Se i Muse sono in caduta libera da qualche anno, e lo dimostrano una volta per tutte con il brutto Drones, dalla svolta elettronica dei Mumford & Sons ci si aspettava qualcosa in più. Ad eccezione di Believe, il disco si rivela piatto, privo di mordente, lontano dalle emozioni che hanno saputo dare attraverso l’imprinting di Babel.
Federico Mattioni, rapportando la vita e i sensi al cinema, sta tentando di costruire un impero del piacere per mezzo della fruizione e della diffusione delle immagini, delle parole, dei concetti. Adora il Cinema, la Musica e la Letteratura, a tal punto da decidere d’immergervi dentro anche l’anima, canalizzando l’energia da trasformare in fuoco, lo stesso ardere che profonde da tempo immemore nelle ammalianti entità femminili.