Al Teatro India di Roma, in scena la drammaturgia di Lisa Ferlazzo Natoli ispirata al capolavoro del bardo ingleseNoteVerticali.it_Lear_Edward_Bond_TeatroDiRoma_7Lampi improvvisi illuminano l’ambiente. Dal fondo, brancolanti nel buio, figure lente si avvicinano. All’improvviso, luce. La scena è simile a un cantiere, gli attori ne sono gli artefici, spostandone le parti – ponteggi e travi di legno – e costruendo il proprio destino.

In “Lear di Edward Bond”, riadattamento dell’opera shakespeariana per la regia di Lisa Ferlazzo Natoli, la scena è la pièce, la pièce la scena. Le due parti sono inseparabili, come lo scheletro di un corpo che si rigenera nel tempo, abitato da carni di volta in volta diverse. 

L’idea di costruzione di muri visibili o immaginari, eretti fisicamente o costrizioni mentali che siano, percorre il testo da principio. Lear è un sovrano autoritario che si chiude nei confini del suo regno facendo erigere un muro contro ogni possibile nemico. Ma la vera minaccia è già all’interno. Con lo scopo di sposare due sovrani e avere loro stesse il potere, le sue due figlie Bodice e Fontanelle, lo ripudiano gettandolo in pasto alla sua follia. Trascinandosi dietro una mappa che è anche un telo ricoperto di sangue, perpetuano il loro piano senza pietà. Violenza, guerra, sangue, famiglia. Questi i punti cardinali seguendo i quali si muovono i personaggi, trentacinque in tutto interpretati da otto attori.

NoteVerticali.it_Lear_Edward_Bond_TeatroDiRoma_6Del dramma di Shakespeare, Bond riprende tutto ciò che può essere ampliando secondo nuove prospettive, rifiutando coordinate troppo specifiche, inserendosi nelle pieghe di un testo articolato, per riportarlo faccia a faccia con fantasmi più vicini nel tempo. Bond lavora alle fondamenta del testo originario per rivitalizzarlo sulla base del suo teatro politico, strettamente radicato nel tempo in cui scrive (erano gli anni della Guerra Fredda). E così la terza sorella diseredata Cordelia si trasforma in una contadina paladina della giustizia, fautrice di una lotta rivoluzionaria che sfocia paradossalmente in un altrettanto tentativo di innalzamento di un muro di confine. La storia si ripete, come un eco mai sopito nel tempo, un fantasma che non trova la sua pace. Quando la paura strisciante di perdere tutto ciò che si è costruito scivola nella paranoia, la fascinazione per la sicurezza del potere ha la meglio anche sulle cause più nobili.

La luce (Massimo Munalli) intermittente, proiettata, avvolgente gioca un ruolo fondamentale nell’economia della messa in scena, come la scenografia stessa, che prende forma grazie agli attori che la modellano coreograficamente. Interessante l’espediente di accompagnare lo spettatore nel vasto mondo di personaggi e situazioni con scritte e immagini a china (Francesca Mariani).

In coproduzione con lacasadargilla, presentato dal Teatro di Roma, “Lear di Edward Bond” sarà in scena al Teatro India fino a domenica 20 dicembre.

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