All’indomani della pubblicazione del nuovo disco della band, abbiamo incontrato il frontman Sergio Todisco

La resina è un materiale plastico e affascinante, che sia artificiale o naturale. Se scaviamo nella nostra memoria conosciamo tutti la natura appiccicosa e l’odore balsamico della resina prodotta dagli alberi di pino, ad esempio. È un fenomeno speciale che nasce da una ferita della corteccia, qualche goccia collosa di bellezza che sembra mescolarsi col dolore. È un concetto atavico: se la richiamaste alla memoria la ricordereste come qualcosa che proviene da lontanissimo, non sappiamo quando l’abbiamo conosciuta ma ci appartiene. Come quelle cose che credereste perse: la voce di qualcuno che avete amato, l’esperienza di un suono o di un’immagine di un tempo lontano che ritorna in un momento che vi pareva qualunque, strappandolo così alla banalità e rendendolo personalissimo.

Di questo materiale è Resins 2, l’ultimo album del progetto A Giant Echo, nato dall’idea di Sergio Todisco a Cassino, città del basso Lazio immersa nel Parco Naturale dei Monti Aurunci. Abbiamo incontrato Sergio per scoprire di più sulla band e sui suoi nuovi progetti:

Chi è, o chi sono i A Giant Echo?

“Tutto è cominciato con i miei brani, attorno ai quali ho cercato di formare una band: è stato un lavoraccio! Dopo anni di ricerca sono riuscito a trovare gli strumentisti che sono entrati a far parte del progetto, diventati anche miei amici. La band è oggi composta da quattro persone, me compreso, e con Davide Pascarella al basso, Riccardo Bianchi alla batteria e Marco Nardone alla chitarra e al synth.”

Partiamo da lontano, da quando è iniziata la tua passione per la musica. Oggi suoni tanti strumenti, qual è stato il primo?

“Suono diversi strumenti, ma bene nessuno (ride). L’interesse per la musica c’è da sempre, e ho iniziato a suonare la chitarra grazie ad alcuni amici a diciassette anni. Non ho mai studiato, ho iniziato da autodidatta e lo sono ancora. Mentre imparavo a suonare la chitarra ho iniziato a scrivere canzoni: pian piano si sono sviluppati dei pezzi di diverso approccio e genere, e così due tipi di progetti musicali: uno è Last Eon, l’altra band di cui faccio parte. Abbiamo pubblicato il nostro primo album nel 2018 e ne stiamo pubblicando un altro proprio ora. Ci sono qui più distorsioni, chitarre elettriche, con uno stile post-rock e noise. Accanto a questo progetto c’è A Giant Echo, più acustico e intimo. I riferimenti musicali sono davvero tanti e vari, provengono da songwriters quali Leonard Cohen, Nick Cave, Nick Drake, Bill Callahan, dall’alternative rock dei Radiohead o degli Wilco, da compositori come Ennio Morricone ma anche dal post rock (Godspeed You Black Emperor, Thee Silver Mount Zion, Mogwai, ad esempio).”

Parliamo del titolo dell’album, Resins 2: perché la scelta della parola resine?
“Ho cercato di evocare qualcosa di appiccicoso, anche se non è questo il termine che mi piace di più. Qualcosa che rimane attaccato anche quando si pensa che sia andato via: è il concetto attorno al quale viene costruito l’album e si sviluppano le canzoni in termini musicali. Spesso i brani cominciano, si evolvono, sembrano finire ma poi ricominciano, per poi avere un’altra evoluzione e poi finire ed essere rievocati in altri brani ancora. Sono sensazioni, emozioni e vissuti che hanno costruito la mia persona, sono passato e presente perché ritornano sotto forma di altri sentimenti e contesti: sono altri, perché si presentano in contesti diversi.”

Anche la copertina di Resins 2 è figlia di questo concetto. Dipinta da Sergio Todisco è nata da una passione per la pittura sacrificata a favore della musica, ma che con questa si mescola e ritorna.

Resins 2 è un album dalle atmosfere oniriche, che fa uso di un tempo sospeso e intimo, un progetto interessante che potete conoscere qui:

 

 

 

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