Noteverticali.it_Mannarino_Al monteSi chiama “Al monte” e segna uno tra i ritorni più attesi di questa stagione discografica. La voce e la creatività sono quelle di Alessandro Mannarino, che dopo l’exploit di “Supersantos“, il disco del 2011, torna a proporsi con un nuovo disco di inediti. Il lavoro discografico, preceduto dal singolo “Gli animali”, conferma la natura popolare del cantautore romano, che non tradisce stile e tradizione, seguendo una linea che lo ha portato già al successo di pubblico. Il disco, prodotto dall’etichetta indipendente Leave Music e da Universal, pur confermando l’anima genuina di Mannarino, sembra si discosti dai lavori precedenti, sia dal punto di vista musicale, sia per quanto riguarda i testi. A partire dalla traccia di esordio, “Malamor”, si comprende quanto questo sia un disco diverso dagli altri. La poetica mannariniana esplora nuovi territori, manifestando una certa predilezione per registri prevalentemente malinconici, nei quali la voce alza al cielo il proprio grido contro le ingiustizie sociali ed esistenziali, ed è sostenuta da un arrangiamento ora poderoso ora che sa di soffice ninna nanna. Emblematica a questo proposito “Deija”, che sa di preghiera laica innalzata a un dio declinato in tante essenze, purché si manifesti in una forma concreta e presente, che faccia sorridere “fino alle lacrime”, e che dia risposte alle eterne domande dell’uomo: “…perchè tanto odio, perché tanto dolore se siamo fratelli?” e ancora “Perché ingiustizia se siamo tutti uguali…”. Singolare poi “Scendi giù”, una sorta di serenata non convenzionale che un condannato fa alla propria donna: si sentono gli echi della canzone popolare, e, nei riferimenti che il testo fa a violenze subite dal protagonista in carcere, la mente non può non andare a Stefano Cucchi o a Daniele Franceschi, e a tutte le vittime morte in circostanze simili nelle prigioni di tutto il mondo. “Al monte”, che dà il titolo al disco, parla di una scalata quasi catartica, frutto del percorso evolutivo che parte dalla creazione del mondo fino a far traghettare le due creature protagoniste, emblema della razza umana, verso un pianeta lontano. Mannarino è cresciuto, e, pur se influenzato da padri nobili (qua e là echi di De Andrè, Gaber, Brassens, Brel, ma anche Capossela), il ragazzo assiduo frequentatore del “bar della rabbia” ha lasciato il posto a un uomo più maturo, che con maggiore saggezza ma distacco solo apparente si interroga sull’esistenza: non è un caso che a chiudere il disco sia “Le stelle”, il brano più intimista della raccolta, dove, in un arrangiamento dove il pianoforte è impreziosito da un tocco, qua e là, di contrabbasso, Mannarino regala forse il punto più alto della sua poetica, consegnandoci un disco certamente unico.

Mannarino canta “Malamor” a “Che tempo che fa” dell’11 maggio 2014

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