È la sua storia e insieme quella di milioni di altre persone, la sua storia e insieme quella nostra, anche, ché una storia così riguarda tutti, ha riguardato tutti, riguarderà prima o poi tutti, se è vero (e lo è) che da quando è capitato sul pianeta, l’uomo non ha smesso di migrare (emigrare e immigrare son termini culturali, anzi: ci scappa artificiali, a pensarci, ché la smania della geopolitica s’è impossessata della geografia e quel che è in fondo una questione di prospettiva e punti di vista sembra esser diventata condizione di natura, o peggio: di destino), Obehi, disco d’esordio di Chris Obehi, cantautore e musicista nigeriano, classe 1998, che, fuggito dalla natia Warri, dopo cinque mesi d’odissea è arrivato prima a Lampedusa e poi a Palermo. È la sua storia, sì, la sua storia “di migrante” che è simbolo di tante, troppe altre, ma non è solo (si fa par dire) questo: Obehi è prima di tutto un disco riuscitissimo di un musicista dal grande talento. Al netto, infatti, degli aspetti biografici di Chris Obehi, aspetti che purtroppo rischiano di diventare totalizzanti, riducendo la sua proposta musicale a un derby tra acritici sostenitori e stolidi detrattori, questo disco si fa ascoltare per la qualità dei suoni e degli arrangiamenti, per la freschezza tutta originale della scrittura, per l’eclettismo tecnico e espressivo del suo interprete che è, e dev’essere considerato, uno dei miglior giovani musicisti in circolazione oggi.

Cantato in quattro lingue, tra italiano, inglese, dialetto esan e siciliano, Obehi è un viaggio di nove tracce, tutte diverse e tutte accomunate dall’istinto creativo di Obehi e dalla sua naturale vocazione alla musica, in un percorso che affronta le tematiche più diverse, accennando in maniera esplicita a quell’esperienza di vita solamente in un momento (Non siamo pesci), teso a cercare un equilibrio tra un’impostazione pop e uno spirito sperimentale che fa della contaminazione e della mescolanza dei suoni e dei generi il proprio punto di forza. Equilibrio già evidente nella traccia d’apertura, Mama Africa, che mescola arpeggi soft a ritmi virulenti, sposando i Cranberries con le atmosfere della tradizione nigeriana, in un flusso di suoni e timbri che coinvolge sin dal primo ascolto. Stesso risultato lo raggiungono tutte le altre tracce, dalle radiofonicissime 100 % Amore e Without You (che strizza l’occhio all’afro funk, cui s’intonano accenti dance anni ‘80 con creatività tutta contemporanea), alle ballate più cantautorali Fly Away e Walaho (dedicata, senza retorica e con sentita sincerità, alla madre) dall’afro beat Mr Oga, in cui percussioni e vocalizzi la fanno da padrone, fino a una versione personalissima di Cu ti lu dissi di Rosa Balistreri, interpretata a suggellare l’incontro e lo scambio tra la tradizione nigeriana e quella siciliana. Il tutto cantato, suonato e registrato col giusto equilibrio tra cura e istinto, tra studio e ispirazione – tra suono e corpo. Corpo, sì, ché ogni nota, ogni accordo, ogni virtuosismo, anche, della voce, dànno l’impressione che Obehi abbia fisicamente, letteralmente, messo tutto se stesso: è proprio la sua pelle, proprio la sua carne, non solo le sue dita, che incontrano le corde di una chitarra o di un basso; è proprio la sua gola, il suo corpo tutto, non solo la sua voce, che coglie e intona note. E la stessa sensazione ce la veicolano gli altri musicisti, a riprova di un disco pensato e prodotto limitando al minimo gli aspetti, per dir così, sintetici, all’insegna di una naturale sincerità e di una corporeità che mettono al centro gli elementi più umani e artigianali del fare musica.

Al tempo stesso, specie nei momenti cantati in dialetto esan, Obehi testimonia senza teoremi e senza slogan la fondamentale connessione dell’uomo con la terra, intesa, certo, in un senso culturale, come “patria”, ma anche e soprattutto in un senso più originario: quasi Chris Obehi cantasse e suonasse in costante relazione con quell’elemento, pezzi come Walaho hanno la forza del primordiale, capaci come sono di trasportarci in un’atmosfera che sembra fuori dal tempo ma in realtà è proprio quella dell’inizio del mondo.

E qual è il suo mondo, il mondo musicale di Obehi, ce l’ha raccontato lui stesso in questa intervista.

Ascoltando Obehi si ha subito l’impressione di trovarsi di fronte a una grande sincerità emotiva e espressiva, a una musica suonata e cantata senza trucchi. Come nascono le tue canzoni e come hai scelto quelle da inserire in questo tuo disco d’esordio?
Ci sono canzoni che nascono di getto, come Fly Away e Mr Oga, altre invece che ci hanno messo del tempo per arrivare nella forma finale, come Mama Africa e Non siamo pesci altre ancora che sono cambiate durante la fase di registrazione, come Without you. Per tutte le canzoni che scrivo però ogni volta che mi viene l’ispirazione, registro sul mio cellulare la melodia o le parole che ho in testa, non importa dove mi trovo. Se capita fuori, registro la mia intuizione e appena torno a casa incomincio a lavorarci su, fino a quando l’ispirazione non finisce. Le canzoni che sono presenti nel mio album sono alcune  delle canzoni che ho scritto da quando sono in Italia, quelle che più rappresentano il mio percorso come artista. Mi sembravano le canzoni più adatte per il mio disco d’esordio, i temi trattati come l’amore, i diritti umani o il raccontare delle storie attraverso la musica sono quelli che mi rappresentano e soprattutto mi presentano a chi non mi conosce e ha voglia di ascoltare cosa ho da dire attraverso la mia musica. Ciò che è più importante per me è che la musica deve trasmettere emozioni, deve arrivare a chi mi ascolta e a me stesso mentre la suono e canto. Non poteva mancare un tributo a Rosa Balistreri, il mio portafortuna qui in Italia. La mia interpretazione di alcune mie canzoni mi hanno fatto notare e mi hanno accompagnato nella mia carriera artistica qui in Italia.

Nel disco canti in ben quattro lingue, comprendendo l’esan e il siciliano: in che maniera questo fatto ha influenzato la tua musica, il tuo cantare, la tua scrittura? Quali sono, secondo te, le caratteristiche musicali di queste quattro diverse lingue? 
Le lingue che uso sono le lingue che parlo e mi piace mischiarle all’interno della stessa canzone, di solito due alla volta. Le uso tutte perché sono tutte parte di me, mi rappresentano e allo stesso tempo credo che usare più lingue possa unire le persone che parlano lingue diverse e renderle curiose verso altre culture. Ci sono  mie canzoni che non potevano essere scritte in altre lingue rispetto a quella in cui sono, come per esempio Mr Oga, il mio primo afro beat. Il Pidgin rappresenta le mie origini ed è una lingua che ha una tradizione musicale ben radicata nell’afro beat nigeriano, come ci insegna il grande Fela Kuti. Ho deciso invece di scrivere Non siamo pesci in italiano perché è una canzone ispirata a un fatto che è realmente accaduto durante il mio arrivo in Italia. Parla di diritti umani, non solo di quelli dei migranti e ho sentito che l’italiano era la lingua che riusciva a rappresentarlo meglio. Walaho è una canzone dedicata a mia madre. La sua lingua è l’esan e ho voluto scrivere Walaho in questa lingua perché quando parlo con lei questa è la lingua che uso la maggior parte delle volte e la trovo una lingua molto dolce dal punto di vista musicale.

Grande protagonista di Obehi è la tua terra d’origine, però omaggi anche la Sicilia con Cu ti lu dissi: ci sono delle connessioni, secondo te, culturali e/o musicali tra la tua terra d’origine e la Sicilia? 
Quando sono arrivato in Sicilia mi sono sentito a casa, c’era qualcosa che mi ricordava la mia Africa. Ci sono alcune zone di Palermo che mi ricordano la Nigeria, come per esempio il mercato di Ballarò. Lì le culture s’intrecciano, diventando una sola. L’unica differenza è che alle bancarelle in Italia ci sono più uomini che donne, mentre in Nigeria è il contrario.
La prima volta che il mio amico Francesco Riotta della band Famiglia del sud mi ha fato ascoltare Cu ti lu dissi di Rosa Balistreri ho subito riconosciuto dei ritmi che mi ricordavano l’Africa e questa somiglianza ha attirato la mia attenzione e mi ha fatto appassionare alla musica di Rosa.

La tua storia personale è drammaticamente legata all’oggi: credi che la musica, o l’arte in generale, possa far qualcosa per indirizzare e migliorare la politica?  
Credo che la musica possa farsi sentire, far arrivare dei messaggi importanti dritti al cuore delle persone. La musica fa riflettere, può far arrivare lontano delle storie e può dar voce anche a chi una voce non ce l’ha. Ma soprattutto la musica deve sprigionare emozioni. Non so se questo possa indirizzare o migliorare la politica, ma sicuramente garantisce una libertà d’espressione e dà la possibilità di riflettere ma anche dà la forza di esprimersi  a tutti. Credo sia un mezzo molto potente capace di portare messaggi importanti.

OBEHI, Chris Obehi, 88A Records.

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