Abbiamo incontrato il cantautore canadese di origini giamaicane, che ha rilasciato da poco “The climb”

La vita è un’avventura, alla continua ricerca di se stessi, e del giusto equilibrio per star bene con gli altri. Può essere raffigurata in vari modi, a seconda delle sensibilità e delle attitudini. Magari attraverso l’immagine di una corsa, dalla partenza verso un arrivo il cui raggiungimento è reso difficoltoso da numerosi ostacoli imprevisti. O come una scalata, come ha fatto Duane Forrest, cantautore canadese di origini giamaicane, che ha intitolato il suo ultimo disco proprio “The climb”. Un lavoro complesso, declinato in diversi episodi, che denotano tutti uno spirito artistico maturo, voglioso di comunicare, attraverso melodie accattivanti e di facile presa, sentimenti ed emozioni agevolmente condivisibili.

The climb”, il cui stile può essere accostato, almeno in alcune tracce, a quello di artisti pop decisamente sulla cresta dell’onda, uno su tutti Ed Sheeran, è il secondo capitolo della serie “Apple in Tree”, un progetto che Forrest sta portando avanti da un po’. La mela sull’albero che ha dato l’dea del nome a Duane è la ragazza di cui si è invaghito. Un obiettivo irraggiungibile, considerando che la stessa si è definita la mela sull’albero, quella “per la quale bisogna arrampicarsi e faticare”, distinguendosi dalle mele a terra, e quindi più accessibili. Il povero Duane non si è rassegnato e ha messo in musica questa sua tensione emotiva. Il risultato è un mix che regala armonie dall’ascolto estremamente piacevole, che fanno da contorno a frasi a tratti malinconiche a tratti inneggianti alla vita e alle sue meravigliose declinazioni. Suoni e melodie evocative, che portano in sé il profumo di luoghi lontani, in uno stile che unisce la tradizione del cantautorato europeo e nordamericano al bossanova, al jazz, al reggae e al soul.  A ciò si aggiunga l’impegno sociale, che vede Forrest in prima linea nel progetto Genesis – Community of the Arts, un’associazione il cui scopo è quello di diffondere le arti (arte, musica, teatro e danza) e la conoscenza di queste nei Paesi e nelle comunità più povere, prevalentemente in America Centrale (http://www.genesisartschool.com).

Abbiamo avuto modo di incontrare Duane alla viglia di un nuovo tour che lo porterà in Italia. Ecco il resoconto della nostra conversazione.

Duane, quanto c’è di autobiografico nelle canzoni di questo disco?

Beh, in ogni canzone che scrivo mi porto dietro sempre un po’ di ciò che ho vissuto. Posso dire comunque che le canzoni del disco sono vagamente basate sulle mie esperienze.

Partiamo dal nome del tuo progetto, “Apple in the Tree”, di cui “The Climb” è figlio, e che è nato quasi casualmente, partendo dall’esperienza che hai avuto con una ragazza di cui ti eri invaghito, che si era paragonata appunto a una mela che sta su un albero. Sappiamo che la mela ci ricorda la storia biblica della creazione, Adamo, Eva e il serpente, il Bene e il Male. Chi o cosa sono gli elementi ‘cattivi’ nei quali ci si può imbattere in una storia d’amore?

Penso sinceramente che i pericoli possano creare aspettative lontane dalla realtà. E penso all’insicurezza. Questa per me è la cosa più problematica, perché l’insicurezza genera paura nell’affrontare una relazione. Ed è la nemica peggiore. E l’elemento ‘cattivo’ per eccellenza. Perchè amore e paura non devono occupare lo stesso spazio…

Come concili la tua natura di cantautore, più votato a raccontare le sensazioni più intime con una punta di malinconia, con lo spirito più allegro e vitale che trai dalle tue origini giamaicane?

Credo che tutto si misceli perfettamente nella mia musica. Sono un cantautore, ma dal fraseggio e dal ritmo delle mie canzoni l’influenza giamaicana non si smentisce.

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Da “Edge of the sea” a “Oceans”, il mare sembra rappresentare una componente costante nelle canzoni di questo disco. Quali sono i tuoi ricordi più belli relativi al mare? E qual è secondo te la spiaggia più bella che esista e dove cerchi di tornare appena puoi?

Il mio ricordo più bello del mare va a un tempo che credo sia finito per sempre. Ero a Puerto Rico, lavoravo in un centro di riabilitazione giovanile. Non sembrava fossi sull’oceano. Stavo suonando la chitarra sulla spiaggia e a un certo punto ha iniziato a piovere. Ho pensato che sarebbe stato affascinante sentire la pioggia fredda nel mare caldo. Bene, una sottile tensione mi ha afferrato e mi ha portato fuori dalla spiaggia. Non potevo nuotare. Ricordo che ero praticamente immobilizzato e a un certo punto ho realizzato che per me era arrivata la fine. A un certo punto l’oceano mi ha spazzato via sulla spiaggia. Mi sono sentito terrorizzato ma al tempo stesso stupito. Quel giorno ho imparato una lezione che non dimenticherò mai. La mia spiaggia preferita resta quella di Little Corn Island sulla costa del Nicaragua. Non so come fa, ma riesce a guarirti e a farti sentire migliore.

Una canzone con un titolo come “End of the world” lascia presupporre uno scenario apocalittico. Pensi davvero che la fine del mondo sia vicina? Cosa potrebbe fare l’umanità per salvarsi?

Ho scritto questa canzone alla vigilia del 2012, quando nell’aria si avvertiva una certa paura. MI faceva pensare alla guerra e alla costante avidità dell’umanità. O potrei dire degli uomini.

Perché questa distinzione?

Perché penso che se si potessero sostituire tutti i leader mondiali maschili con donne, l’umanità potrebbe davvero salvarsi.

Tornerai a breve in Italia per alcuni concerti. Come vorresti presentarti al pubblico italiano?

Sì, sono molto felice di tornare nel vostro paese. L’Italia è il posto che più amo in tutto il pianeta, da voi mi sento sempre al massimo, più felice. E anche più creativo.

NoteVerticali è un magazine culturale che, oltre che di musica, si occupa anche di cinema, arte e letteratura. Se “The climb” fosse un film, che film sarebbe? E se fosse un libro o un quadro?

Beh, credo che il mio disco si possa prestare agevolmente alla sceneggiatura di un film. La immagino come la storia di un ragazzo che prima va alla ricerca di se stesso e poi si mette a cercare la propria anima gemella. Se il disco fosse un libro, sarebbe intitolato “Interviste con un uomo insicuro”. Se fosse un quadro, lo immagino raffigurante un albero con una mela e tante alte mele a terra.

Thank you for your time. Grazie!!

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Di Luigi Caputo

Idealista e visionario, forse un pazzo, forse un poeta, ama l'arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia...

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