Esordio da solista per lo storico autore musicale, in un disco in cui spazia tra vari generi musicali 

Sferza e accarezza, morde e ci nutre, ci cura e ferisce, Credo, il primo disco di Vincenzo Incenzo, storica penna della canzone italiana che, dopo anni dietro le quinte a dare perle di musica e parole a grandi nomi del panorama musicale nostrano (sue, ad esempio, le celeberrime Cinque giorni L’elefante e la farfalla per Zarrillo, qui reinterpretate), fa finalmente il suo esordio nel mercato discografico, prodotto da Renato Zero per l’etichetta Tattica. Un disco da vero e proprio, raro, cantautore, questo, che a dispetto del titolo al divino preferisce l’umano, se le tredici tracce che lo compongono si fanno ascoltare, ognuna a suo modo, come veri e propri inni all’umanità, l’umanità che siamo, certo, quella che potremmo essere, anche – ma soprattutto quella che rischiamo di perdere.

È mescolando i generi più vari, alternando delicate ballate (La mia canzone per te, Il primo giorno dell’estate, Salutami l’amore) a feroci, rockeggianti j’accuse (Je suis, Dal paese reale), passando addirittura per il rap (Pensiero unico), che Incenzo realizza il ritratto in musica degli umani di oggi, senza, però, perdere mai il proprio, singolare ma non per questo meno comunicativo, centro emotivo. Come avesse a un tempo un occhio aperto sul mondo e l’altro chiuso a guardare meglio se stesso, infatti, Incenzo ci guida e ci accompagna, ci spinge e ci costringe a vedere tra le pieghe del nostro vissuto, della realtà che ci circonda, vincendo il rischio della retorica e del moralismo grazie a trovate musicali e, specialmente, letterarie di inattaccabile intensità.

È proprio questa, forse, la cifra più caratteristica dell’intero lavoro: una scrittura estremamente evocativa, densa ma non oscura, colta ma mai stucchevole, romantica e mai patetica, che sa sposare immagini liriche (“…tu come una rondine impazzita / sbattevi contro i vetri / e ho dovuto aprire”, o “tutti pensano a spogliare il proprio amore / mai nessuno a rivestirlo: / noi lo facciamo ancora”Il primo giorno dell’estate) ad altre più concrete ma non meno poetiche (“con un corteo sulle labbra / e un notiziario alla tempia / io vivo qui, / in questo Duemilaniente”, La mia canzone per te), abile nell’orchestrare cortocircuiti linguistici senza sterili esercizi di stile (“Ah, com’è pulito questa notte nel cuore / ci puoi quasi mangiare”, Prima di qualunque amore) e altrettanto a proprio agio nello sferrare prosastiche, schieratissimesassate politiche (“che si muore di dolore / anche dentro un condominio / ma l’immagine virale è il salvataggio del pinguino”, Je suis, o “Chiamiamo pericolose persone in pericolo, / neghiamo diritti a persone che amano”, Pensiero unico, o ancora “Va ora in onda l’inferno, / odalische ci ballano, / il diritto diventa favore”, Dal paese reale) – il tutto, sempre all’insegna di un’evidente sincerità espressiva. Sincerità, sì, probabilmente l’altro grande vanto di questo progetto: come nella retorica – nell’arte retorica – delle (cosiddette) forme, infatti, anche sul piano dei (cosiddetti) contenuti Incenzo ci appare davvero senza pose, senza artifici, autentico nella polemica e nel consiglio, nel giudizio e nel racconto, nell’autoritratto e nella fotografia (il prezioso I nemici dell’amore è, in questo senso, il brano più eloquente).

E se a tutto questo, poi, s’aggiunge l’altrettanto riuscita partitura musicale, un sound volutamente eterogeneo, mai banale né complesso a tutti i costi, un sound che sa coniugare pulizia e rigore a istinto e divertimento, un sound artigianale e mai artefatto, allora il cerchio si chiude e davvero non ci stupisce che, pur viaggiando su strade tutt’altro che facili da percorrere (un disco d’esordio non solo di un cantautore, ma da cantautore, oggi, a qualcuno potrebbe apparire anacronistico), questo Credo sta riuscendo a convincere e pubblico e critica, già tradotto in spagnolo e già protagonista di un felicissimo tour in Sud America.Ma se anche così non fosse, poco importa, ché “è una canzone senza futuro quella che sta passando”, non certo quelle incise qui, che resteranno.

Di Sacha Piersanti

Nasce a Roma nel 1993. Scrittore e critico teatrale, ha pubblicato i libri di poesia Pagine in corpo (Empiria, 2015) e L’uomo è verticale (Empiria, 2018) e il saggio critico Zero, nessuno e centomila. Lo specifico teatrale nell’arte di Renato Zero (Arcana, 2019). Dal 2017 collabora con il blog di R. di Giammarco Che teatro che fa su Repubblica.it.