Parlare di sentimenti è già di per sé molto incoraggiante. Se poi lo si fa con toni struggenti, in perfetta controtendenza con il superomismo e con la voglia di ostentare felicità a tutti i costi, tipica della società dell’apparenza (e dell’opulenza) beh, allora si rischia di passare addirittura per rivoluzionari. Sicuramente, il coraggio c’è, ed è quello di condividere le proprie emozioni senza alcun filtro, anzi lasciandosi avvolgere dalla malinconia, quel ‘desiderio di desideri’ – per dirla alla Tolstoj – che a ben vedere “è il più legittimo tra tutti i toni poetici” (e qui abbiamo scomodato Edgar Allan Poe). Sentimenti e malinconia sono di casa presso i John Qualcosa, che non è un signore di madrelingua inglese dal cognome un po’ incerto, ma un duo musicale fondato su certezze, tanto da costruire un binomio che è artistico e sentimentale insieme. Stiamo parlando di AmbraMarie e di Raffaele D’Abrusco, appunto i John Qualcosa, che già da un po’ fanno della musica l’essenza della propria vita, e che oggi, dopo ben nove anni e tanta strada artistica percorsa, hanno finalmente deciso di pubblicare un disco a nome del duo, il cui titolo è “Sopravvivere agli amanti” e che uscirà il prossimo 15 aprile. Abbiamo ascoltato in anteprima l’album, e ne siamo rimasti molto colpiti per la freschezza dei suoni e per la profondità dei testi. La voce di AmbraMarie accarezza le parole con rara delicatezza, e l’apporto di Raffaele rappresenta un valore aggiunto più che un elemento di contrasto. Ascolti e ti trovi catapultato su una spiaggia deserta, in quei tardi pomeriggi di primavera dove il cielo è bianco e la minaccia di pioggia mostra l’incertezza di un’estate ancora lontana. Oppure sei davanti al calore di un caminetto e in compagnia dei tuoi pensieri, che si fanno incerti sul futuro e su ciò che ci sarà da ora in poi. Un senso di impotenza e di precarietà, nel quale ti piace naufragare pensando che la felicità è sfuggente come un istante velocissimo, mentre la malinconia è fedele e sarà con te per sempre.

Dopo l’ascolto in anteprima del disco, abbiamo avuto il piacere di rivolgere alcune domande ad AmbraMarie.

La prima domanda è quella di rito. Da dove è nata l’esigenza di dar forma nel 2011 ai John Qualcosa, considerando che la vostre esperienze artistiche, almeno per quanto riguarda AmbraMarie, erano già consolidate, e perché la scelta di questo nome con una forte impronta singolare maschile, visto che siete a tutti gli effetti un duo?
L’esigenza dei John Qualcosa, per me e Raffaele D’Abrusco, nasce per riversare tutta la nostra malinconia in un “contenitore musicale”. Dal 2004 abbiamo la nostra band, chiamata AmbraMarie come me, ma all’interno ci sono 4 teste e 4 modi di intendere il sound. Io sono la più malinconica di tutti: quella che ascolta Damien Rice e i Radiohead fino allo sfinimento, quella che ama le ballatone essenziali ed esistenziali…e non è detto che tutte le 4 teste abbiano voglia di crogiolarsi sempre nella malinconia e nei tempi rilassati. Quindi i John Qualcosa nascono perché io e Raff avevamo bisogno di un altro “contenitore”, musicalmente parlando, dove poterci esprimere, completamente slegati dal resto. Vogliamo suonare le forchette? Bene, suoniamo anche le forchette! Vogliamo fare un disco solo di canzoni tristi? Facciamolo!
Il nome è nato prima delle canzoni: da tempo avevamo in testa l’idea di questo duo, finché un pomeriggio, mentre eravamo in viaggio sul nostro furgone, Raff mi chiede: “Senti Ambra, ma chi è quel tizio che stavi ascoltando prima, che mi ha fatto venire il latte alle ginocchia?” (scherzando “simpaticamente” per i miei ascolti tutt’altro che allegri) e io ho risposto “Uhm…non mi ricordo….John..Qualcosa!” come quando butti lì un “qualcosa” perché non ricordi la parola che vorresti dire. Ci siamo guardati e abbiamo detto: “Il nome per il nostro duo! Perfetto!”. Ci piaceva perché suonava bene per noi.

Il titolo del vostro disco d’esordio, “Sopravvivere agli amanti”, è un chiaro omaggio a “Only Lovers Left Alive” di Jim Jarmusch. Una originalissima storia di sentimenti che vede protagonisti due vampiri, creature che vivono di notte. Vi sentite come loro, “troppo diversi dal resto del mondo”, come AmbraMarie canta in “Il ladro e la strega”?
Un pò si, credo. Quel film è di una poesia disarmante. Ci siamo rispecchiati molto nelle personalità dei due personaggi, che ricercano la bellezza e la sensibilità in ogni momento. Credo che la chiave del film stia nella scena in cui Adam e Eve (i protagonisti) vanno a visitare un meraviglioso ex teatro di Detroit, del quale è rimasto solo il soffitto, mentre il sotto è stato trasformato in un desolante parcheggio. Noi ci sentiamo dalla parte di quelli che non avrebbero mai trasformato un teatro in un parcheggio.

Dal punto di vista delle atmosfere musicali, il disco è costruito in modo minimale, il che per me vuole essere un complimento, considerando che spesso produzioni e arrangiamenti troppo esagerati finiscono per appiattire e, di conseguenza, impoverire, la reale essenza artistica che sta dietro a un progetto musicale. In questo caso, invece, tutto sembra costruito con il giusto equilibrio, e ciascun elemento, dal suono degli strumenti, alle vostre voci, appare incastrato alla perfezione, in un mosaico completo. Come sono nati i brani del disco e, in generale, come avviene la genesi di un vostro brano?
Ti ringraziamo per il complimento. “Sopravvivere agli amanti” è un disco molto “casalingo”, un pò come quando cucini con quello che ti rimane nel frigo. Mi spiego meglio: eravamo alla ricerca di un suono di percussione, ma non avevamo lo strumento che ci serviva per ricrearlo…la cosa che avevamo a disposizione che si avvicinava di più a quel suono erano le forchette shakerate nel classico contenitore di metallo dell’Ikea! Quindi l’abbiamo risolta così. Dietro però c’è stato un lavoro molto minuzioso nella ricerca di ogni singolo suono… abbiamo composto le canzoni strato per strato. E’ stata di grande aiuto, per ottenere quello che volevamo, la collaborazione con Filippo Cornaglia (batterista di Niccolò Fabi, Andrea Laszlo De Simone, Bianco) nelle batterie e percussioni. Le canzoni nascono senza essere programmate, attingono dal vissuto mio e di Raff, oppure magari vedi una serie tv che ti destabilizza completamente e nasce “15 Million Merits”, ispirata interamente a una puntata di Black Mirror.

Sfacelo azzurro”, senz’altro tra le tracce che preferisco, è impreziosita da un video girato sulla spiaggia di Montauk, ed è chiaro l’omaggio a Eternal Sunshine Of The Spotless Mind, il film di Michael Gondry che nell’orrenda traduzione italiana è diventato “Se mi lasci ti cancello”. Anche qui, un film e una storia d’amore che attraversa il tempo, e che, oserei dire, va al di là delle stesse persone che la creano e la vivono. E anche qui, gli amori sopravvivono agli amanti. Ma davvero, come cantate nella title-track, “tutto è relativo, a partire da noi”?
Quoto per la traduzione orrenda! Io amo gli amori non convenzionali, come tutti quelli dei film citati nel nostro disco. L’amore non ha forma precisa o prestabilita, ognuno trova la sua chiave per restare nel cosiddetto “sempre”. Io e Raff per esempio abbiamo trovato la nostra formula e l’abbiamo chiamata “John Qualcosa”. Siamo relativi, siamo di passaggio, ma ci ostiniamo a trovare Qualcosa che ci dia l’illusione di restare: la musica in questo caso è una bella illusione.

In “La mia Amsterdam”, dietro la leggerezza del testo, fa capolino la paura. E’ un sentimento naturale, di cui non vergognarsi affatto, che mai come stavolta ciascuno di noi sta vivendo sulla propria pelle in questi tempi davvero critici per l’Italia e per il mondo. Secondo voi si può sconfiggere la paura rifugiandosi nella sublimazione dei sentimenti?
La paura personalmente la si sconfiggere creandosi una propria “bolla” nella quale lasci entrare solo chi ti è affine, le cosiddette “affinità elettive” con cui puoi condividere la tua visione del mondo senza bisogno di doverti spiegare troppo…e il resto lo lasci fuori, fingendo che non esista. Sono molto sensibile e questa è la mia unica arma per non sprofondare. Probabilmente quando provi del sentimento per qualcuno è perché hai trovato una persona che parla la tua stessa lingua, quindi diventa molto più semplice sbrogliare quello che hai nella tua testa. Questo l’ha descritto bene Samuele Bersani in “En e Xanax“: “Se non ti spaventerai con le mie paure, il giorno che mi dirai le tue troveremo il modo di rimuoverle. In due si può lottare come dei giganti contro ogni dolore e su di me puoi contare per una rivoluzione. Tu hai l’anima che io vorrei avere”. Totale.

AmbraMarie, nel tuo curriculum artistico c’è una partecipazione a X Factor. Cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto questa esperienza? Credi che per emergere nel mondo musicale di oggi sia necessario partecipare a un talent?
Non credo sia necessario, ma all’epoca era una nuova strada. Facevo i cappucci in un bar del mercato di Treviglio, andavo a letto alle 5, dopo aver suonato con la mia band, e dopo un’ora mi alzavo per andare a lavoro. Io amo dormire…e ce l’ho messa tutta per non dover più puntare la sveglia e far sì che la mia passione diventasse il mio lavoro. X Factor è stata una strada che mi ha permesso di farlo e di conoscere molti addetti ai lavori. Però tutto quello che ho fatto dopo X Factor l’ho deciso io: mi sono autoprodotta i miei dischi, ho fatto un sacco di concerti, ho continuato a lavorare con la mia band e con le persone che tenevano a me, artisticamente parlando, anche prima di entrare nel programma. All’epoca in cui l’ho fatto io, nel mondo indie/rock, c’era molto più pregiudizio sui ragazzi che uscivano dai talent, molti addetti ai lavori pensavano che ti fossi svegliato una mattina pensando di fare il cantante e non che in realtà ti facessi il culo da anni, esattamente come tutti gli altri. Il format può piacere o no, quella è televisione. Poi fortunatamente è arrivato Manuel Agnelli e ho tirato un sospiro di sollievo perché l’ha reso un contenitore accettabile anche per quelli un pò più giudicanti e con la puzza sotto il naso.

Il disco è attraversato, inevitabilmente, da un velo di malinconia. Quella che sulla vostra pagina Facebook definite “parola dal suono così bello, da trasformare in vanto, prima che sia lei a mangiarsi tutto”. Qual è il vanto che si può sublimare dall’essere malinconici?
Ero condannato alla sensibilità”, concetto espresso da Jack Gambardella ne “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino. Credo che questa frase possa spiegare molto bene il modo di essere mio e di Raff. L’unico modo che hai per usare la malinconia e la sensibilità a tuo favore, mentre piano piano ti accartocciano l’anima e lo stomaco, è usarle per scrivere cose, possibilmente belle e che ti facciano sentire soddisfatto! Almeno dai un senso a quel dolore sottile che provi incessantemente. Poi, come diceva Bruno Lauzi, quando siamo felici usciamo.

Riporto la frase che chiude “Un secolo di polvere”, altro bellissimo brano del disco: “I giorni andati son perduti, forse quasi mai esistiti / io penso che i ricordi sono le favole degli illusi”. E’ un invito a vivere ogni attimo con intensità?
Credo che con questa frase Raff abbia toccato il suo “picco leopardesco”, ovvero il pessimismo cosmico in cui anche i ricordi prendono un’accezione talmente negativa, che diventano favole per le persone illuse. In realtà se ci conosci personalmente siamo anche divertenti!! Però ecco, quando scriviamo no. Comunque il “cogliere l’attimo” è ovviamente parte del nostro modo di affrontare i giorni. Io me lo mangio proprio il tempo, per paura che scappi. Sono un’iperattiva.

“Una canzone quasi felice” richiama a un concetto, quello della felicità, di cui, mai come adesso, ciascuno sta sperimentando la mancanza. Secondo voi, quando metterà alle spalle l’esperienza tragica del coronavirus, ciascuno di noi potrà ritrovare la felicità nel quotidiano delle piccole cose?
Io non avevo certo bisogno del Coronavirus per apprezzare le singole cose, e lo dico ridendo senza alcun tipo di presunzione! Sono una persona che si perde spesso nei dettagli: la felicità nel mettersi a letto quando hai appena lavato le lenzuola e sanno di bucato, oppure quel momento della giornata – al crepuscolo – in cui cammini per la città e si accendono i lampioni, il profumo del vento a Settembre, il primo bagno dell’anno al mare, un sapore nuovo. Sono una romantica, nel vero senso del termine…o come dicevo prima una “condannata alla sensibilità”, che forse però non è poi così male.

Dove vorreste essere adesso? Su una spiaggia, su un palco, per strada?
Nel chiosco di mojito che io e Raff volevamo aprire su un’isola greca. Solo mojiti, gelati e concertini improvvisati per i clienti al tramonto.

 

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