NoteVerticali.it_Joseph_Parsons_The_field_The_Forest_coverNel suo nuovo lavoro, il cantautore di Philadelphia porta in musica sensazioni e stati d’animo diversi, frutto di una profonda sensibilità

C’è, nell’esistenza di ciascuno, la necessità di raccontarsi attraverso le diverse sfaccettature che incrociano la vita, che è sempre molto più della semplice somma di giornate consecutive. Sensazioni differenti, quindi, che accompagnano età e periodi dipingendo stagioni distinte, che regalano emozioni mai uguali tra loro. Con il suo nuovo disco, “The Field The Forest“, un doppio ep, Joseph Parsons ha cercato di portare in musica il frutto dei propri stati d’animo, che rivelano una sensibilità profonda, testimone di un percorso artistico non fine a se stesso, ma proiettato verso una ricerca che parte dalla propria anima per allargarsi al mondo.

Un lavoro variegato, che si distingue volutamente in due diversi dischi, proprio come un classico ‘doppio album’: dodici brani nei quali Parsons, coadiuvato dai fidi musicisti della sua band (Ross Bellenoit alla chitarra, Sven Hansen alla batteria, Freddi Lubitz al basso), indaga nella propria interiorità, prima attraverso attraverso registri più da ballad e temi che si distinguono per maggiore coinvolgimento personale, poi grazie a sonorità più potenti, che evidenziano una volontà di aprirsi all’esterno per rivendicare il proprio diritto alla libertà di esistere. Si parte dalle sei canzoni di “The Field“, che, da “All the way” in poi, indagano in una intimità dove sono i sentimenti a farla da padrone, dove i cuori affamati lamentano il proprio diritto alla felicità (“I’m ever thankful for your love / I need to feel more of us / Never sure I’m what you need / Helpm me solve the mystery“) .

NoteVerticali.it_Joseph_Parsons_band_1Qui, lungo quel percorso sul quale si riflettono speranza o luce, e dove il sorriso si apre alla speranza in un futuro comunque positivo, c’è spazio per i ricordi, per amori fugaci che durano il tempo di una stagione (“Berlin“), per la malinconia, compagna di ogni momento (“Need you“, “Don’t belong“), ma anche, certo, per manifestazioni che aprono alla libertà e invitano a vivere. E’ il caso di “Fly“, a nostro giudizio l’episodio migliore del disco, un brano che esorta ad affrontare le cose di petto e superare ogni titubanza. E’ il “carpe diem” di Parsons, insomma:

You’ve been living in the shadows
of the man you want to be
You’ve been hoping for a change
the kind to set you free
it’s about time to decide
it’s about time to put on your wings and fly…

Certo, le influenze del passato si notano: qua e là ravvisiamo echi di West Coast, e omaggi a Neil Young a Bruce Springsteen, per citare artisti che sicuramente avranno influenzato il modo di scrivere di Parsons. Ma è un influenza e non una imitazione, perché la resa d’insieme ottiene un giudizio più che positivo.

L’altra faccia del lavoro, il secondo cd, “The Forest“, è condita, lo anticipavamo, da episodi più cupi, nei quali la poetica di Parsons intende celebrare il senso del rischio, dell’avventura, della scoperta. Qui i suoni si fanno più oscuri, l’atmosfera diventa dark, e la band può trovare libero sfogo ai propri assoli. L’influenza che ci sembra cogliere è anzitutto quella di Nick Drake, per tracce che non si segnalano però per particolare freschezza compositiva, ad eccezione di “Bliss” e “Shadowland“, che affrontano la comune tematica dell’esistenzialismo e della sua complessità, ma con musicalità d’insieme che ben si sposano con i testi.

Endless time, wrong or right,
lift your hands up to the sky
drink your wine, spill your pride,
ain’t nothing left at the end of the ride…[…]

…still I know there’s a way to reach the Promised Land
don’t take a miracle to hold it in your hand…[…]

Malinconico e crepuscolare è poi il commiato, affidato a “Horizon“:

But you, you leave a hole
I can’t explain, a deep deep hole…

NoteVerticali.it_Joseph_Parsons_band_2Il risultato complessivo dell’intero lavoro rivela un prodotto interessante, che dipinge in Parsons una maturità artistica ormai raggiunta (il suo debutto discografico, con l’ep “Heavens Above“, risale al 2008), frutto di un evidente lavoro di ricerca che lo inserisce a pieno titolo tra le migliori nuove leve della generazione cantautoriale statunitense. Certo, occorre smussare ancora qualche angolo, testimone di spigolature che legano forse troppo l’artista di Philadelphia alla sua band, e non solo perché sul fronte del package campeggia il solo nome “Joseph Parsons”, e sul retro invece il logo JPB. Riteniamo vi sia piuttosto la necessità di liberarsi da arrangiamenti troppo dark, quali quelli che caratterizzano gran parte di “The forest“, per virare invece verso episodi di maggiore apertura sonora, ai quali sicuramente la produzione dell’artista potrebbe continuare a guardare in futuro per spiccare definitivamente il volo e consolidare quella maturità già raggiunta.

THE FIELD THE FOREST, Joseph Parsons, Meer Music / Blue Rose Records, 2016.

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