Dopo l’EP “Confini” e il singolo “Muro”, ecco il primo album di Gaube, in uscita il 10 marzo per Bonimba/Santeria/Audioglobe.

Maremmano di nascita, bolognese di adozione, Gaube (all’anagrafe Lorenzo Cantini) è un cantautore prog-rock che arricchisce i propri pezzi con venature psichedeliche, mosso anzitutto dalla voglia di riavvicinarsi alla tradizione del cantautorato nostrano degli anni ’70, reinterpretandolo.
E questo è un aspetto decisivo del suo lavoro e del suo approccio: un artista lontano dalle logiche che dominano l’attuale mercato discografico, e invece convinto sostenitore di un modo di far musica che torni a essere politico nel suo primo senso del termine: la musica come canale per veicolare messaggi sociali importanti, al dispetto di strutture predefinite o ritornelli al punto giusto. Nel suo modo di comporre ritroviamo quell’esigenza comunicativa ed espressiva che trascende gli schemi e segue il proprio flusso, di parole e note: “L’arte deve tornare a farsi politica e per farlo deve necessariamente legarsi alle grandi questioni del presente”.

Dopo l’EP “Confini” e il singolo “Muro”, è in arrivo “Kulbars”, l’album di debutto di Gaube, in uscita il 10 marzo per Bonimba/Santeria/Audioglobe. Al centro delle nove tracce di Kulbars, ci sono i testi, rinforzati da metafore e punti immaginifici snocciolati da una voce intensa e supportati dalle melodie di piano, mellotron e sintetizzatori. Le canzoni contengono spesso rimandi l’una con l’altra, andando a costruire una sorta di mappa complessa e disarticolata, perfetta per raccontare la rabbia e il disagio di tutte quelle diseguaglianze e contraddizioni, che scandiscono il tempo della nostra società come una bomba a orologeria.
La title-track chiarisce subito la direzione dell’album. Il titolo (da “kolbar” o “kolber”, termine che indica i lavoratori che trasportano merci sulla schiena in Iran, Iraq, Siria e Turchia): le atmosfere Seventies introducono i temi che ritroveremo nel disco, dallo sfruttamento dei braccianti alle contraddizioni del nuovo attivismo “di facciata”.
Nel blocco di “Verme”, “Spettro” e “Sangue” (parte I e II), il punto centrale nonché più riuscito dell’album per scrittura, melodia e strumentazione, il protagonista è un esponente dei ceti più deboli, in una sorta di romanzo di formazione che si sviluppa seguendo il suo flusso di coscienza; dalla consapevolezza di classe (“sono verme, e non aquila reale”, Verme) a quella politica (“vento fischia tra le mie membra un desiderio di ribalta”, Spettro), alla militanza (“soltanto tra i cori, le bandiere e gli scudi puoi vedere uno scontro che ormai non c’è più”, Sangue pt.1). Il tutto si muove su arpeggi di chitarre, organi e accenni electro-dance che, fase dopo fase, sottolineano in modo pungente l’evolversi emotivo del protagonista.

Confini” e “Muro”, pezzi già pubblicati negli scorsi mesi, trattano il tema delle migrazioni, da due punti di vista differenti: il primo in maniera più generale (“mappe troppe antiche per pirati con la tuta, mani intrecciate per non abbandonarsi ad acque nervose”), la seconda, invece, con uno sguardo alle frontiere balcaniche, triste palcoscenico dei tentativi di tantissimi giovani di entrare in Europa (“spinti da fame da fiamme d’inferno, bloccati tra reti come pesci nell’oceano”). Gli strumenti seguono le parole e le chitarre si fanno taglienti, aiutate da sintetizzatori e organi elettrici nel raccontare la disperazione e l’urgenza.

Arriverà” torna dalle parti del flusso di Verme, Spettro e Sangue, riprendendo i temi dello sfruttamento del lavoro e della rabbia cieca di chi lo subisce, facendosi forza, giorno dopo giorno, solo aggrappandosi a sogni di lotta per la libertà (“di tutto quello che mangi mi lasci gli avanzi, ma il giorno arriverà […] e se arriverà vederti cadere dall’alto come un vaso di fiori”).
Il pezzo che chiude l’album, “La crepa, il declino” si muove tra un pungente pessimismo e un timido ottimismo, tra la critica acre e la dolce utopia, descrivendo in maniera malinconica ma puntuale l’umore di un’intera generazione: che non vuole arrendersi a un mondo in decadenza, ma che è nata sballottata dalle onde di una crisi profonda e intrinseca: “sai ho provato quando ero bambino a vedere la luce dietro il declino, ora, soltanto ora, ho capito che toccare il fondo è il nostro destino”.
E qui il rimando alle atmosfere e al cantautorato degli anni ’70 trova il suo senso più marcato: nel riprendere e tenere le vive le lotte di chi, cinquant’anni fa, ha perorato battaglie anticipando (amaramente) l’inasprirsi delle ferite e dei contrasti sociali con cui facciamo i conti oggi. Con Kulbars, Gaube vuole dire loro che avevano ragione, ma che non abbiamo ancora perso la speranza.

Il disco di debutto di Gaube è un lavoro convincente e interessante per il panorama attuale, perché nasce da qualcosa sempre più raro per gli artisti contemporanei: l’urgenza. Non quella di passare in radio o di avere più follower, ma quella di comunicare i dissidi, le contraddizioni e le disparità della nostra società, senza fingere che vada tutto bene, e senza fingere che non ci riguardi.

KULBARS – Gaube – Tracklist
1. Kulbars
2. Verme
3. Spettro
4. Sangue (parte I)
5. Sangue (parte II)
6. Confini
7. Muro
8. Arriverà
9. La crepa, il declino

Etichetta: Bonimba/Santeria (Santeria Records su licenza concessa da Bonimba)
Distribuzione: Audioglobe
https://www.instagram.com/gaube_/
https://www.facebook.com/gaubemusica

 

 

Di Sara Bernasconi

Si definisce una persona totalmente dipendente dalla musica, prevalentemente rock e british. Lavora nella Comunicazione e, nel tempo libero, va a concerti, legge, divora serie tv, viaggia

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