Abbiamo ascoltato il nuovo disco del rocker statunitense. E non è un semplice album di cover, scoprite perchè…

NoteVerticali.it_RyanAdams_1989_coverIl cantautore americano Ryan Adams, al tredicesimo album in studio (se non si considerano le esperienze con i Whiskeytown e i Cardinals), sceglie la via della cover con il suo nuovo album dal titolo 1989, esattamente come quello di Taylor Swift dello scorso anno che decide di rifare per intero. Scelta coraggiosa che non nasconde anche una certa perplessità di fondo. Come riuscire a rendere interessante e valido un disco fatto interamente di cover, riproposte nello stesso ordine, di una cantautrice pop di fama mondiale e tra le più ricche al mondo? Variando la forma in maniera molto personale e sentita, trasformando canzonette banal-pop in richiami ad un passato tutt’altro che morto e sepolto. Ecco che come per magia i tredici brani della Swift si trasformano in un inno alle atmosfere degli anni ’80 nelle sfumature sempre molto vicine ai generi musicali che hanno accompagnato fino a qui la carriera di Ryan Adams: dal country al folk, dal blues al rock’n’roll, dal pop al punk fino all’hard rock e al metal. Nel caso di “1989” ad emergere sono più che altro il folk e il pop d’autore. Un talento innegabilmente seducente quello di questo cantautore che in questo disco, in maniera anche inattesa per il modo com’è stato pensato, dimostra in pieno per l’ennesima volta, tutto il suo valore. Varie e decise eco di Bruce Springsteen sfilano accanto al suo adombrato volto e al suo vitale e malinconico inneggiare ad un canto che sembra provenire davvero da un’altra epoca. Gli arrangiamenti dell’intero album convincono soprattutto sotto questo aspetto.

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NoteVerticali.it_RyanAdams_2Ecco allora che già l’apertura con “Welcome to New York” imprime un energico ritmo che diviene appetito al terzo brano “Style”, trasformato quasi in un grido di richiamo. “Blank Space” diventa un meditato e riflessivo assolo folk che non può lasciare indifferenti, soprattutto dopo che si è ascoltato l’originale. Lo stesso effetto lo dà “Out of the woods”, che come uno scioglilingua s’impone fra i ritornelli più cantilenanti, di quelli che ti entrano in testa e ti ritrovi a cantare fino a tarda notte; perché la notte, oltre all’alba e al tramonto, sono fra i signori protagonisti di questo splendido disco, laddove una soffusa malinconia s’infiltra fra le trame e le tessiture di canzoni dove l’autore, l’armonia, la melodia, arriva per lasciare il segno al pari della facile orecchiabilità dei modelli originali da cui Ryan ha preso spunto. “Stay” offre un energico richiamo:

Hey, all you had to do was stay,
had me in the palm of your hand,
man why’d you have to go and lock me out when I let you in,
Stay, hey, now you say you want it, back,
now that it’s just too late, well could’ve been easy,
all you had to do was stay…”,

ed è uno dei brani di punta. “Shake it off” pulsa ancora e in maniera più decisa ai livelli del miglior Bruce Springsteen, e ricorda nei tratti uno dei suoi brani più da brivido: “I’m on fire”. “I Wish you would” conferma che questo disco è addentro il percorso: Ryan ha colto l’opportunità di realizzare qualcosa di lontano eppur vicino (molte band si stanno riavvicinando alle atmosfere di quel periodo). “Bad Blood” e “Wildest Dreams” sono forse le tappe più risapute e piatte del percorso – assieme a “I Know places” e “Clean” che però amalgamano in chiusura il flusso di emozioni del percorso –non dei veri e propri incidenti, semplicemente delle soste un poco più esili.

NoteVerticali.it_RyanAdams_3Ha senso chiudere l’analisi con “How you get the girl” e “This love”, ballate, una acustica e l’altra piano e voce, dal sognante afflato lirico-meditativo; soprattutto “This love”, una cascata di note di entusiasmante, struggente malinconia. Due perle che al pari del suono dei gabbiani con cui si apre e chiude il disco, richiamando l’immagine stessa di copertina, svelano il senso e il valore intimo e trascinante intrinseco all’opera.

Ryan Adams, 1989. Etichetta: PaxAM. Tracce: 13. Data uscita: 21 settembre 2015.

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Di Federico Mattioni

Federico Mattioni, rapportando la vita e i sensi al cinema, sta tentando di costruire un impero del piacere per mezzo della fruizione e della diffusione delle immagini, delle parole, dei concetti. Adora il Cinema, la Musica e la Letteratura, a tal punto da decidere d'immergervi dentro anche l'anima, canalizzando l'energia da trasformare in fuoco, lo stesso ardere che profonde da tempo immemore nelle ammalianti entità femminili.