Vulcanico, istrionico, geniale: tutto vero. Ma, più di ogni altra cosa, Sergio Cammariere è anzitutto un gentiluomo, uno di quelli d’altri tempi, che ti accoglie con garbo e affabilità, che ti sommerge con i suoi ricordi e le sue parole, e che ti avvolge con la sua signorilità ed eleganza, unite a una grandissimma umiltà. Un artista a tutto tondo, che meriterebbe molto di più del grande successo che ha ottenuto, grazie alle emozioni che regala attraverso i suoi dischi e i suoi concerti. Lo incontriamo a pochi giorni dall’uscita di “Mano nella mano“, la sua ultima fatica in sala d’incisione, che raccoglie ricordi e sensazioni unite da un filo invisibile che lega l’Europa all’Africa…
Ciao Sergio, anzitutto grazie per aver accettato il nostro invito…
Grazie a te, Luigi! Il nome ‘NoteVerticali’ mi piace così tanto, avete avuto una bella idea per il titolo… mi ricorda le figure cromatiche del pentagramma, che sono in verticale, quando i quarti vengono divisi per la musica… Credo che possa esistere una musica ‘orizzontale’ e una ‘verticale’… bella idea, davvero…
Grazie! Con quel ‘verticale’ nel titolo cerchiamo di approfondire i temi trattati… Noi ci occupiamo non solo di musica, ma anche di letteratura, cinema, teatro, poesia…
Tutti argomenti che possiamo senz’altro toccare… la letteratura, per esempio…
Certo… che libro ci consiglieresti?
“La filosofia della libertà” di Rudolph Steiner è uno dei libri che adoro. Steiner ha inventato l’antroposofia, una delle scienze più importanti perché è quella che studia l’umano. Fondamentale è anche un altro suo testo, “L’essenza della musica e l’esperienza del suono nell’uomo”.
Parliamo del tuo nuovo disco, “Mano nella mano”, nato da un tuo viaggio in Andalusia. Quando hai capito la necessità di partire e perché hai scelto proprio quei luoghi, al confine tra Europa e Africa?
Ho sempre amato viaggiare. Mi considero un essere quasi apolide, senza una vera e propria patria. Quindi, quando mi sono trovato a Tarifa, nella punta estrema della Spagna, da dove si vede il Marocco dall’altra parte, ho avuto una sorta di visione onirica. Ho sognato un mondo unito, un popolo unito, i due continenti uniti, perché erano così vicini da abbracciarsi, proprio mano nella mano, insieme ai due mari, all’Oceano Atlantico e al nostro Mediterraneo…
La stessa canzone, ‘Mano nella mano’, ha nel ritmo un incedere arabo-andaluso, oserei dire… Una canzone che ha anche influenze gitane, senti il flamenco, ci trovi tutta la suggestione assimilata durante i viaggi, sia in Africa che in Spagna…
A proposito di Africa, in “Ed ora” la si respira a 360 gradi…
Beh, sì. “Ed ora” nasce da un riff, da un giro di basso, che è un traditional della musica gnawa. Mi sono trovato qualche anno fa a Essaouira, in Marocco, che è un luogo facilmente raggiungibile da Marrakech, e lì ho incontrato un maestro di gnawa, che è una musica che arriva dal deserto, mista berbera e nomade insieme, e ha un suo cuore molto particolare, fatto di canti corali e di giri di basso su uno stesso accordo. Dopo aver cenato con il maestro, e aver improvvisato con lui qualche riff tradizionale di gnawa, è nata la canzone, e in una tonalità solare, di sol maggiore, ho costruito la melodia, seguendo il ritmo.
Per la prima volta hai inserito in un tuo brano i cori, e ti avvali della collaborazione con Gegè Telesforo…
Sì, vero, i cori non c’erano mai stati. Sì, ho avuto il piacere di avere nel brano Gegè, con il quale c’è un’amicizia trentennale…[ride…NdR]
C’è anche un’altra canzone del disco che vi unisce, “Così solare”…
Sì, quella è stata scritta ventisette anni fa, e Gegè volle inserirla in un suo disco alla fine degli anni ’80. L’arrangiamento era un po’ più fusion, ma erano altri tempi…
Come mai l’hai tenuta nel cassetto per tutti questi anni?
Beh, perché finora non trovavo mai i musicisti giusti, il colore giusto… la maturità giusta, direi, per condividere gli spazi nello spettro musicale… D’altronde, non è facile far convivere una chitarra acustica e un pianoforte…! Con Roberto Taufic e Alfredo Paixao, invece, siamo riusciti a trovare finalmente un balance molto bello, che mi ha convinto a pubblicare la canzone adesso…
Dal punto di vista dei testi, invece, continua il sodalizio con Roberto Kunstler…
Beh, sì, con Roberto c’è ormai un rapporto di fratellanza, direi… Ci conosciamo dall’85… [ride…NdR] Esiste un disco – fuori catalogo – del 1993…
“I ricordi e le persone”… l’ho ascoltato…!
Esatto! Un disco prodotto da Vincenzo Micocci, per la casa discografica IT, che promuoveva la musica italiana indipendente, e grazie alla quale sono usciti i primi dischi di Venditti, De Gregori…
Rino Gaetano…
Certo, anche Rino… E Vincenzo Micocci è stato il nostro maestro, all’inizio… Infatti grazie a lui realizzammo questo disco, che poi fu tolto dal catalogo (che nel frattempo era diventato della BMG)… L’amicizia con Roberto dura da quel disco… Cerchiamo quindi di creare una sintesi armonica, da parte mia, e letteraria, da parte sua.
Come nasce una vostra canzone?
E’ un lavoro variegato… Ci sono diversi aspetti nella scrittura di una canzone: a volte si parte da un testo, o addirittura da una frase, altre volte da una musica… Il senso di ciò che diciamo è sempre molto legato al suono, alla ‘risonanza’ delle parole… e chi se non un poeta come Roberto può dare il suono giusto alle parole?
Avete scritto tante canzoni insieme…
Beh sì, ormai lavoriamo di squadra… ne abbiamo scritto tante, e tante ne abbiamo ancora nel cassetto… [ride…NdR]
Mi auguro che possano vedere la luce presto…
Beh, sì, intanto per ora godiamoci questo disco… [ride…NdR]
Giusto, torniamo al disco… che aria si respira in giro?
Lo sento come un’isola felice… sento molti consensi, ovviamente mi fa molto piacere…
Credo si percepisca una serenità di fondo sia nei brani che nei video: in quello de “L’amore trovato”, per esempio…
Certo, lì c’è il ‘suono brasiliano’ che dà davvero serenità e gioia di vivere…
A proposito di Brasile, penso a un grande estimatore della musica brasiliana, il maestro Bruno Lauzi, a cui hai regalato un bellissimo omaggio, attraverso la reinterpretazione in chiave samba di un suo brano dimenticato, “Io senza te, tu senza me”. Sappiamo che hai avuto la fortuna di conoscere Lauzi. Che ricordo ti è rimasto di lui? Credi che sia sufficientemente ricordato?
Bruno è stato un grande amico, una persona preziosa… mi ha dato tanti consigli, sia prima che avessi successo, sia dopo… Mi ha fatto stare con i piedi per terra… Durante i nostri incontri a casa spesso suonavamo insieme, io registravo su musicassetta… ti parlo della metà degli anni ’90…
Quale repertorio suonavate?
Un po’ di tutto, Carmichael, George Gershwin, il repertorio di Frank Sinatra piaceva tantissimo a entrambi… lui poi era un grande cantante, sai? Conservo queste registrazioni bellissime, il mio pianoforte e la sua voce… In un’altra circostanza poi, mi fece ascoltare alcune sue canzoni che erano passate inosservate. E tra queste c’era “Io senza te, tu senza me”, dove trasoare questo suo grande amore, appunto, per la musica brasiliana…
…tu lo hai definito un ‘samba genovese’…
Certo… con un linguaggio semplice – “Io senza te, tu senza me, Brasile senza caffè” – la sua ironia unica, riesce a trasmettere una serie di sensazioni semplici ma vere, con una musica che è molto affine al mio mondo…
Idealista e visionario, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…