Tra darkwave e musica elettronica, attraverso timbri che fanno riecheggiare atmosfere crepuscolari impreziosite da un richiamo alla spontaneità e all’istinto primordiale della fanciullezza. Sono queste le fragranze che si possono cogliere agevolmente ascoltando Take your heart, brano dei Vonamor e primo estratto dal loro omonimo album di debutto che vedrà la luce a Febbraio per la produzione di Lucio Leoni e la distribuzione dell’etichetta Time To Kill Records (TTK). I Vonamor sono sostanzialmente un trio, composto da due anime femminili incarnate dalle sorelle Giulia (voce, basso e metal flute) e Francesca Bottaro (batteria, sequencer, sax, clarinetto) e da un’anima maschile che risponde al nome di Luca Guidobaldi. I tre sono coaudiuvati nei live da Francesco Bassoli e Martino Cappelli alle chitarre, mandolino, bouzouki e loops.
Un’esperienza nata a Roma nel 2016, che fa della produzione musicale una vera e propria performance artistica, attraverso la sperimentazione di uno stile dark pop che trae influenza dal sound degli anni ’80 ma cerca di trovare una strada indipendente e solida, viaggiando attraverso le suggestioni che la band prova a stimolare in chi ascolta. Particolarmente originale risulta essere il video di Take your life, diretto da Fabio Santomauro, che, attraverso uno stile a tratti anche ironico, vuole offrire un omaggio alla vitalità e alla forza delle emozioni.
Open your lazy lovely eyes
Dear, come and tell me of our past li(v)es
They were just metaphoric lines, metaphoric lines
But I didn’t mean, didn’t, didn’t tell you to burn your life
Un gioco di invocazioni dionisiache, di accuse e fraintendimenti, elementi apparentemente contrastanti tra loro ma tenuti assieme dalla forza dirompente dei sentimenti, capaci di vincere ogni ambiguità e – come dice la cantante Giulia Bottaro – “l’influenza multiforme di una varietà di demoni“.
You can’t wash our love with a fire
You can’t wash our love in a fire
There’s no cozy time for our crime
There’s no love nor mercy for us tonight
In attesa di scoprire le altre sonorità che si faranno strada nel nuovo album, raccogliendo la promessa di Francesca Bottaro (“Vi faremo ballare, muovere e fare l’amore con noi“) abbiamo incontrato i Vonamor per una breve chiacchierata.
Ciao ragazzi, qual è il principale elemento di unicità presente nella vostra musica, e perché?
Innanzitutto grazie per averci proposto questa intervista! A nostro parere, l’unicità del progetto VONAMOR risiede nell’offrire una proposta che non sia unicamente musicale, ma una proposta artistica più ampia, sfaccettata e complessa, che punta a coinvolgere il pubblico sotto più aspetti: innanzitutto l’aspetto musicale (in cui il polistrumentismo svolge una funzione fondamentale); quello performativo (come si coglie già dal primo video, Fast-Forward Girl, cerchiamo sempre di coniugare la musica alla danza e al teatro, che abbiamo amato fin da piccolə); l’aspetto visivo e grafico, che coinvolge anche l’anima più “cinematografica” del nostro progetto, che è nato proprio nell’ambito della produzione di colonne sonore per film e cortometraggi. Sotto questo aspetto, l’immagine coordinata del gruppo è curata principalmente da Francesca Bottaro, musicista del trio e anche regista del videoclip del singolo Never Betray Us e di alcuni prossimi video in uscita della band. Francesca si prende cura di ogni particolare legato all’immagine del gruppo, proprio per comunicare un’estetica decisa, avvolgente e in linea con la nostra musica. Infine, è per noi fondamentale l’aspetto letterario/linguistico: diamo infatti una grande importanza ai testi delle nostre canzoni (che contengono spesso riferimenti ed evocazioni letterarie e filosofiche) e alla scelta delle lingue in cui ci si esprime – inglese, italiano, francese, tedesco, cinese. La scelta di queste cinque lingue in cui sono scritti i testi del nostro disco VONAMOR non è stata fatta per un gusto barocco volto puramente a sorprendere l’ascoltatore, quanto piuttosto per provare a cogliere il mondo che ogni parola porta con sé e per rendere il nostro progetto artistico realmente cosmopolita e multiculturale. In pratica, ogni suono, che sia strumentale o vocale, ha per noi un valore profondo che vogliamo trasmettere, dotato di un forte portato emotivo. Come è stato notato da alcune riviste straniere, comunichiamo un’estetica forte, non esclusivamente musicale, e ci ha fatto molto piacere che questo sia stato colto, in Germania come in Canada o in Giappone, e che risulti essere un valore aggiunto di cui andare fieri.
Nelle vostre canzoni cantate valori forti che scaturiscono da forti emozioni. Pensate che il mondo di oggi abbia bisogno di maggiori emozioni, e pensate di offrirgliele grazie alla musica?
Il mondo ha decisamente bisogno di emozioni forti e meno “schermate”, che ci strappino un po’ allo straniamento tecnologico a cui siamo sempre più esposti e che ci riportino alla natura senza contaminazioni. E il mondo ha anche bisogno di parole ben scelte e ponderate che sappiano esternare le emozioni con consapevolezza, per creare una reale comunicazione con tutto ciò che è altro da noi, lasciando una traccia di ciò che siamo senza però necessariamente ferire e deturpare i nostri simili e il mondo esterno. Abbiamo bisogno di comprendere ciò che proviamo e non possiamo farlo nel profondo se non abbiamo le parole e i suoni con cui esprimerlo in primis a noi stessi, per creare relazioni sincere col prossimo e dei legami veri. In una realtà in cui la tecnica spadroneggia, si rischia un vuoto di umanità, che si coglie anche nell’assenza, ormai, di quegli intellettuali, scrittori, musicisti a cui nel passato anche recente veniva dato più ascolto e che sapevano come dar voce a sentimenti, timori e cambiamenti per illuminare certe oscurità che sono insite nella nostra natura e nelle dinamiche politiche e sociali di tutti i giorni.
Nel nostro piccolo, sì, la musica e la scrittura rappresentano il nostro modo di dar voce alle nostre emozioni e visioni e di comunicarle a chi vorrà ascoltarci.
Il vostro stile musicale ha diverse influenze. Quali sono secondo voi le principali?
Ci ha plasmati sicuramente il magnetismo della darkwave, del post punk e di generi affini, principalmente in lingua inglese e tedesca: Tuxedomoon, Joy Division, New Order e ancora Cure, Einstürzende Neubauten, Depeche Mode, Laurie Anderson. Quei suoni cupi, i bassi martellanti e le ritmiche ripetitive ci hanno stregati e li abbiamo fatti nostri, reinterpretandoli, calandoli nella complessità degli anni in cui viviamo, così diversi dagli anni ‘80 in cui siamo nati.
E poi Radiohead, P.J. Harvey, Nick Cave and the Bad Seeds, Massive Attack, siamo aperti a molte contaminazioni, non solo di natura musicale, ma, come dicevamo, anche letteraria, performativa e visiva.
Per una band musicale, non è semplice mantenere un pensiero unico. Se vi capita di avere qualche contrasto artistico, come lo superate?
In modo abbastanza sorprendente, riusciamo a comporre e scrivere in più persone senza grandi contrasti. Il nostro è un processo di composizione decisamente fluido, in cui ognuno di noi, nel tempo, riesce a mettere del suo, facendolo risuonare con ciò che gli sta accanto, armoniosamente. A volte qualcosa apparentemente in contrasto riesce invece a dare una nuova luce e un senso più profondo alla fase precedente di composizione. Qualche contrasto poi c’è sempre in un gruppo (soprattutto se, come nel nostro caso, ci sono due sorelle all’interno del trio!), ma di solito crea delle scintille su cui poi ragioniamo per trovare soluzioni – anche creative – condivise. Abbiamo un approccio molto democratico e fino ad ora non abbiamo mai dovuto accantonare un brano o un progetto per contrasti artistici.
Se le vostre canzoni fossero un film o un libro, che film o libro sarebbero?
Se le nostre canzoni fossero un film, ci piacerebbe fossero Blade Runner, per le tinte cupe e sorprendenti, la cura di design, recitazione, musica, immagini e sceneggiatura. In the Mood for Love, di Wong Kar-wai, per la sensualità, l’estetica, il non detto. O ancora, Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, per le risonanze delle voci in tante lingue che animano quella pellicola, e magari per dividere il palco con Nick Cave. Se fossero un libro… solo uno è difficilissimo da scegliere, probabilmente The Waves (Le Onde) di Virginia Woolf, per il carattere sperimentale e visionario del testo, perché dà voce a personaggi differenti in modo sorprendente, a emozioni, ricordi, traumi, amicizia, amore.
Qual è il vostro desiderio più grande per il 2022?
Di sicuro, il desiderio più grande è quello di tornare a suonare dal vivo, a condividere emozioni con il pubblico senza la paura del Covid. Sarebbe una gran cosa… anche perché avremo il nostro disco da presentare e vorremmo fargli girare tanti palchi e tante città. Ce la faranno i nostri eroi? Noi ci speriamo, e non solo per i VONAMOR ma per tutti i musicisti e gli artisti in generale che hanno passato due anni molto bui e che meritano di poter tornare a esprimersi a tutto tondo e a farsi sentire; e per i luoghi di cultura che devono tornare a essere punti di riferimento e di aggregazione reale, al di là dei social e degli streaming.
Idealista e visionario, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…