Nove tracce essenziali e vive per un disco nel quale si respira sentimento ma anche passione e impegno
Ci sono pochi nomi che nel panorama musicale di oggi riescono a mantenere viva una produzione di qualità che è stretta parente della coerenza, e che deriva da qualcosa che non esitiamo a definire purezza artistica. Niccolò Fabi è uno tra questi. Ormai da quasi vent’anni conduce un percorso fatto di scelte dettate dall’ispirazione, e che trasmettono, anzi irradiano, un senso di genuinità. Dopo la bella esperienza artistica in compagnia dei colleghi-amici Daniele Silvestri e Max Gazzè, nella quale ognuno ha dato il proprio contributo senza restituirsi sminuito, Fabi torna all’esperienza solista sfornando un lavoro composto da nove tracce, con suoni che danno senso alle emozioni, dove testo e musica sembrano nati per stare insieme da sempre. E tutto, partendo dal minuscolo, dall’attimo che si fa presente, e dalla parola che è lì perché ha un significato. E’, insomma, per dirla con lui stesso, “Una somma di piccole cose“, che poi è il titolo del suo ultimo disco. Registrato nella campagna romana (da cui è tratta la foto di copertina), è un disco intimista e acustico ma non solitario, che anzi contiene diversi richiami al senso di comunità, sepolto da caos e confusione e dal rumore di una società sempre più distratta.
Già dalla title-track, che apre l’album, si respira aria di pulito, di essenziale, e allo stesso tempo di intenso. Si ha quasi l’impressione che il lavoro, necessario, di produzione non abbia affatto contaminato l’atmosfera che si doveva respirare in sala di registrazione. Il disco sembra registrato in diretta e parte con un riff di chitarra che ci fa quasi venire in mente lo Springsteen di “The ghost of Tom Joad“. Qualche secondo, ed ecco entrare la voce di Niccolò. Il brano ricorda, nell’intento, il “Costruire” di “Novo mesto“:
Il sorriso regalato a quel passante
Il paragrafo di una pagina qualunque
La storia è un equilibrio tra le fonti
il disegno che compare unendo i punti
Un porto firmato
Un bacio non dato
Il futuro che cambia
E’ una somma di piccole cose
Una somma di piccole cose
Una somma di passi
che arrivano a cento
di scelte sbagliate
che ho capito col tempo…
Ogni voto buttato
Ogni centimetro in più
Come ogni minuto che abbiamo sprecato
E non ritornerà
Pur nella sua semplicità costruttiva, il brano ha un che di magnetico. E’ quel senso di minuscoli passi utili per arrivare lontano, che ci porta a riflettere sul significato delle cose anche piccole buttate via (“…ogni minuto che abbiamo sprecato e che non ritornerà…“). Ma non è un brano pessimista, perché invita a considerare il diritto che ha ogni uomo nell’esaltare la propria natura di individuo e il dovere nell’essere, insieme agli altri, comunità:
La salvezza in ogni grano di un rosario,
ogni lettera del mio vocabolario,
scavalchiamo quei cancelli uno a uno,
nelle cellule è il suo destino…
Abbiamo due soluzioni,
un bell’asteroide e si riparte da zero
o una somma di piccole cose…
Ciò che è più di un richiamo al senso di comunità si respira anche in “Ha perso la città“, seconda traccia del disco. Qui, dopo una serie di immagini che mostrano quello che è diventato il nostro presente (Hanno vinto le corsie preferenziali / hanno vinto le metropolitane / hanno vinto le rotonde e i ponti a quadrifoglio alle uscite autostradali…Hanno vinto le corporazioni infiltrate nei consigli comunali / i loschi affari dei palazzinari / gli alveari umani e le case popolari) c’è quella che sembra una dichiarazione di arrendevolezza:
Ha perso la città, ha perso un sogno
abbiamo perso il fiato per parlarci
ha perso la città, ha perso la comunità
abbiamo perso la voglia di aiutarci…
Più intimista è “Facciamo finta“, dove cogliamo sprazzi di dolore personale (“Facciamo finta che io torno a casa la sera / e tu ci sei ancora sul nostro divano blu” sembra un chiaro riferimento a Olivia, la figlia scomparsa nel 2010 ad appena due anni) che si accompagnano a frasi disarmanti per la loro semplicità (“Facciamo finta che io mi nascondo / e tu mi vieni a cercare / e anche se non mi trovi / tu non ti arrendi / perché magari è soltanto / che mi hai cercato nel posto sbagliato…“). Facile cogliere, qui più che altrove, l’accostamento con Damien Rice, con opportuni distinguo che giocano tutti a favore di Fabi.
Non a caso, i picchi di poesia che preferiamo sono quelli che si respirano in “Filosofia agricola“, forse il brano-manifesto dell’intero album:
Verranno giorni limpidi
come i primi di quest’anno,
ritorneremo liberi
come quelli che non sanno…
Concetti solo apparentemente eterei e fugaci, che accolgono invece il senso della vita e quello altrettanto realista della morte (E poi sarà bellissimo / di te dipingermi l’interno / semmai potessi scegliere / io mi addormenterei d’inverno…), uniti a un rispetto doveroso per la natura (La terra che ci ospita / comunque è l’ultima / a decidere). E’ una poesia minimalista, quasi naif, in cui l’autore non abbandona l’idea della propria caducità (Chiaro è che non vincerò contro i cumuli di memoria / ma il vento che li agita sarà l’ultimo ad arrendersi) ma anzi ne è pienamente consapevole, e se ne lascia attraversare per intero (Se avessi meno nostalgia / saprei conoscere / godermi e crescere / Invece assisto immobile / al mio nascondermi / e scivolare via da qui). Da segnalare anche la diversa connotazione armonica del brano, unico forse rispetto agli altri del disco nel quale predominano le melodie in maggiore.
Brano di matrice chiaramente politica è “Non vale più“, che al di là di una dominante apparentemente pessimistica (La speranza reale di una sveglia collettiva / oggi non vale più) sembra contenere in realtà un’esortazione ad alzare la testa per risalire la china:
Amico, amico caro guarda più in alto
dalle formiche hai imparato solo
a metterti in fila…
Chiamarle semplicemente canzoni sarebbe riduttivo, così come appare evidente la difficoltà che possano trovar posto nell’airplay radiofonico di oggi, bombardato da suoni e divenuto, nella stragrande maggioranza dei casi, una gara a chi grida di più. A tutto questo, Fabi reagisce sussurrando le proprie emozioni, che brillano per intensità e per candore. Prendiamo per esempio “Una mano sugli occhi“, probabilmente la migliore prova musicale del disco grazie a un arrangiamento che lascia a bocca aperta: il brano, che inizia con un accompagnamento di solo pianoforte, è un’originale dichiarazione d’amore alla compagna della vita, dove si va al di là dell’innamoramento e dell’attrazione per legittimare una vicinanza che resterà per sempre, finché si avrà respiro (Non è più baci sotto il portone / non è più l’estasi del primo giorno / è una mano sugli occhi prima del sonno / E’ questo che sei per me…). Il sentimento si declina in altra forma in “Le cose non si mettono bene“, brano che sa di desiderio di fuga, ma anche di voglia di ricominciare (…che cosa stiamo aspettando / qual è il modo migliore per vivere insieme / per noi che siamo stati accusati / di spingerci contro la notte…). E ancora un’altra variante è quella de “Le chiavi di casa“, anch’essa una canzone d’amore (La tua risata è vita / e luce tra le persiane /
regalo di genetica / e domenica di sole…) ma dove stavolta il sentimento sembra essere quello che lega un rapporto padre-figlio:
…e se sapessi che un pericolo
è un pericolo per davvero
saprei più precisamente
quale scivolo evitarti
tu prenditi i tuoi rischi
tanto amandosi raddoppiano per forza
le ragioni per cui possono ferirti
stai attento alle correnti
e non scordarti
le chiavi di casa…
Commiato del disco è “Vince chi molla“, leggera, ma di una leggerezza quasi ansiosa. E in effetti il protagonista è vittima di un attacco di panico. Nell’ascoltatore è palpabile il senso dell’abbandono, anche per la voce di Fabi, che risulta particolarmente intensa e commovente:
Distendo le vene,
e apro piano le mani,
cerco di non trattenere più nulla,
lascio tutto fluire,
l’aria dal naso arriva ai polmoni,
le palpitazioni tornano battiti,
la testa torna al suo peso normale,
la salvezza non si controlla…
Vince chi molla.
Sembra una dichiarazione di resa incondizionata e di debolezza, in realtà nasconde il senso della rinuncia a ciò che non può essere combattuto. Quasi un inchino alla propria debolezza, con un autocontrollo che poi è manifestazione di forza. E, a ben vedere, è quel “sapere rinunciare alla perfezione” che per Fabi è l’essenza del “costruire”. Ecco cosa intendiamo per purezza artistica, per coerenza e per qualità. Doti che riconosciamo a Fabi, capace di scelte artistiche sempre dettate da uno stesso filo conduttore, e che oggi ci regala un nuovo capitolo della sua storia, intriso di poesia, passione e sentimento.
Idealista e visionario, forse un pazzo, forse un poeta, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…