Tra l’estate e la fine del 2022, il mondo dell’arte (e non solo) ha subito una sorta di “invasione” da parte di un prodotto – è lecito chiamarlo tale, quando lo devi pagare – che punta neanche troppo timidamente a rivoluzionare l’attività umana in un’ampia varietà di ambiti.
In agosto è stata rilasciata la prima versione di Midjourney, il 3 novembre è stato reso accessibile agli utenti il bot di ChatGPT. Entrambe le IA (intelligenze artificiali) si sono contraddistinte per la capacità (vedremo poi fino a che punto) di creare opere assimilabili al mondo dell’arte. Midjourney realizza arte visiva, ChatGPT può essere utilizzata per creare racconti, romanzi, saggi e molto altro. Soprattutto nel caso di ChatGPT, prenderemo in esame solo le capacità che ha l’IA di affacciarsi al mondo della narrativa e della scrittura cosiddetta “creativa”.
Per comprendere appieno quanto il prodotto di una IA possa oggi essere definito “artistico”, ci dovremmo avventurare nell’annosa questione che riguarda la definizione di arte. In un’epoca in cui tale definizione risulta spesso confusa, piena (o povera) di sfumature – passando dal “tutto è arte” a “l’arte vera non esiste più da tempo” – è più facile sorvolare su una possibile definizione univoca e rifarsi a quella più esistenziale fornita dal pittore Eugenio Corradi, il quale parla di un’opera d’arte come di “una cosa tra le cose”.

Seguendo la definizione di Corradi, possiamo dire che le opere visive realizzate da Midjourney – l’IA che può realizzare opere in una moltitudine di stili differenti seguendo precisi input forniti dall’utente – è letteralmente una cosa tra le cose, tra moltissime cose. Il problema è sopraggiunto quando gli autori umani di alcune di quelle “cose tra tutte le cose” si sono resi conto che le loro opere erano state utilizzate per l’addestramento fagocitario delle IA. In altre parole, Midjourney – così come i suoi colleghi/rivali artificiali – genera opere basandosi su opere altrui. Chi ha un minimo di dimestichezza con Midjourney o con altre IA “artiste” sa bene che sono sufficienti input di poche parole per generare illustrazioni di un determinato soggetto nello stile di uno specifico artista esistente, in vita o defunto. Questo ha portato a conseguenze nell’ambito del copyright, un campo tutto nuovo per quanto riguarda le intelligenze artificiali.
ChatGPT, al contrario, è una IA maestra nella generazione di testi più o meno complessi. Anche in questo caso, chi ha dialogato con il bot progettato da OpenAI ne conosce potenzialità e limiti. Esistono già casi di romanzi scritti da IA che sono stati pubblicati. Una popolare rivista letteraria che pubblica racconti ha di recente annunciato la chiusura della sua finestra di ricezione, dopo aver ricevuto una notevole quantità di racconti scritti da ChatGPT.
Questo perché oltre all’occhio critico di chi conosce entrambe le penne – quella umana e quella di ChatGPT – esistono anche specifici servizi che possono “smascherare” l’autorialità di una IA; strumenti sempre più utilizzati da scuole e università per individuare quei lavori prodotti artificialmente.
Ma di fronte a un’opera visivamente accattivante ed evocativa, o leggendo un intero romanzo scritto da una IA, è possibile parlare di arte?
Dipende.
Come abbiamo visto, la definizione univoca di arte può essere una questione ambigua, difficile, forse impossibile. Semplificando la questione, potremmo parlare di emozioni, di bellezza e di novità. Ma se l’emozionalità di un’opera dipende dalla soggettività individuale, la sua estetica deve incontrare canoni che dipendono da una soggettività sociale, oltre che del singolo. E la novità? Può un’intelligenza artificiale ribellarsi ai canoni e fondarne di nuovi? Può “rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi”, per citare le parole di Franz Kafka?
Sulla base di ciò che è oggi l’intelligenza artificiale a disposizione degli utenti, la risposta è no. Mancherà ancora quella “novità di senso”, quella capacità di scheggiare le certezze o di farle saltare in aria.

Un’intelligenza artificiale non ha uno scopo “naturale”, non ha obiettivi che possono variare autonomamente nel corso del tempo sulla base di personalissime esperienze, non ha drammi irrisolti o rinascite da rappresentare o sublimare, non ha empatia. È uno strumento (creato dagli umani per gli umani) che può affiancare l’artista nella misura in cui l’artista lo desidera.
È giusto? È rispettoso nei confronti di artisti e scrittori del passato che non potevano contare su questi mezzi? Sì, e ce lo insegna anche Umberto Eco quando sottolinea quell’apparente ma in realtà decisiva rivoluzione nell’ambito creativo letterario: i software di videoscrittura. Dovremmo rinunciare a tali strumenti e tornare alle macchine da scrivere o, perché no, all’argilla?
Senza storia, senza passato, senza precedenti, non ci sarebbero novità, provocazioni, esaltazioni e neanche quel “superamento” che, qualche volta, un artista decide di azzardare.
Per ora ChatGP scrive benino… ma solo se sai cosa farle fare (e come “accompagnarla”). Per Midjourney vale lo stesso. E in futuro? Perderemo la nostra creatività? No, forse andremo a perdere solo un po’ di potere. Così come per altre professioni, varrà il principio del valore aggiunto, che nell’arte dovrebbe – almeno idealmente – essere preponderante.