Ciò che mi interessa più di ogni altra cosa nel lavoro e nella vita è la ricerca della verità. Questo percorso mi spinge ancora a dirigere film”. Il pensiero è un brutto vizio che può manifestarsi improvvisamente senza mai più abbandonare. Basterebbe una frase come quella tra virgolette per spiegare quale sia il principio ispiratore dell’ultimo regista classico americano vivente. Clint Eastwood ha compiuto novant’anni e nessuno se ne è accorto. Si potrebbe partire dalla sua biografia, raccontare la gavetta e il successo con Sergio Leone, citare Dirty Harry per passare alla sua svolta dietro la macchina da presa, ma non serve. Negli anni Clint è diventato una filosofia di vita, l’ultimo baluardo di un mondo che non esiste più, dove l’onestà intellettuale era la stella polare e ci si preoccupava poco di come dovrebbe essere.

Il pensatore Lenny Bruce sosteneva che la verità è com’è, il resto sono solo bugie e manipolazioni intellettuali. Il cinema di Eastwood è la verità. In ogni suo film, dal più riuscito (troppi) ai meno comprensibili, si prova quella sensazione tanto difficile da percepire oggi, sicurezza. Clint è  un novantenne desideroso di ricercare soggetti che più si prestano a fare da cassa di risonanza a problemi scuri altrimenti difficili da raccontare senza una fastidiosa autocommiserazione. I suoi eroi sono gli ultimi, le persone normali senza la paura di mettere alcuna barriera ideologica o fare quadrato attorno a dementi teorie di superiorità intellettuale. Negli anni i suoi estimatori sono aumentati esponenzialmente alla verità delle sue storie, arrivando a evocarlo come linea guida ogni giorno.

In ogni ambito della vita, dall’amore a una risposta al supermercato, sarebbe opportuno fermarsi trenta secondi tacere e chiedersi “Che cosa farebbe Clint Eastwood ora?”: una risposta ipotetica aiuterebbe a prendere la strada corretta. Robert Frost diceva “due strade divergevano, io presi quella meno battuta ed è per questo che sono diverso”. Il cinema di Eastwood è imprevedibile e diverso, riesce sempre a stupire per il coraggio delle scelte narrative e anche quando non si è d’accordo, il pensiero di quel disaccordo obbliga a ragionare su argomentazioni accettabili da presentare.

In tributo a questa ricorrenza sarebbe opportuno approfondire uno dei suoi ultimi lavori, The Mule, per la cronaca l’ultimo film dove la sua “mono espressione”; come sosteneva certa critica un tempo, basta per suscitare una gamma di emozioni difficilmente raggiungibile. Ne Il corriere (titolo italiano) c’è tutta la filosofia di un pensatore libero, una mente che si venderebbe solo alla verità e al rispetto del valore nel cinema come nella vita.

Di Paolo Quaglia

Nasce a Milano qualche anno fa. Usa la scrittura come antidoto alla sua misantropia, con risultati alterni. Ama l’onestà intellettuale sopra ogni altra cosa, anche se non sempre riesce a praticarla.