Totò Onorevoli La TrippaLe elezioni amministrative sono sempre un evento per qualsiasi comunità. Un evento celebrato per esaltare la sovranità popolare, che, in nome della democrazia, decide da chi dovrà essere governata per la prossima legislatura, assumendosi la piena responsabilità della propria insindacabile scelta. Un evento che fa riscoprire novità, a tutte le latitudini. Molti, in perfetta contraddizione con il pieno disinteresse mostrato fino a poco tempo prima, scoprono improvvisamente la propria passione politica, che li porta a mettere la propria faccia, fino a pochi giorni fa tranquillamente nascosta da un’aura di rispettabile anonimato, sui muri, sui cassonetti dell’immondizia, nelle cassette postali, nei luoghi e nelle tasche più disparate. E tutto questo purché qualcuno, anzi più “qualcuno” possibile, gli conceda il favore di ricordarsi di loro nel segreto dell’urna, tra le pareti di legno di una cabina, nei 30 secondi insomma che insieme ne arriveranno a decidere il futuro. Sì, perché se saranno eletti, assurgeranno al paradiso dell’intoccabilità, quella che investe, a tutti i livelli, politici e politicanti.

Uno scenario a metà esatta tra l’apocalittico e il paradisiaco, nel nome del morandiano e poco decourbertiniano “uno su mille ce la fa” e dell’antico motto dell’“io sono io, e voi non siete un cazzo!” rubato al marchese del Grillo di sordiana memoria, di cui si fregia grandissima parte della classe politica dei nostri tempi, novella nobiltà purtroppo non ancora decaduta, che si crede investita da privilegi ereditari e, in nome di parentele familiari, pretende consensi elettorali “per default”: c’è chi candida il proprio figlio, chi il nipote, chi un fratello, chi addirittura la propria moglie, per far rimanere comunque la politica un ‘affare di famiglia’, dove altrimenti il pacchetto di consensi (quasi che gli elettori fossero mutuati!) raggiunto così faticosamente, andrebbe perduto e disperso per sempre. In un contesto come questo, dal quale non risultano esenti le comunità in cui viviamo, durante la campagna elettorale il cittadino entra in una voragine infinita, come un guidatore che si ritrova alla testa di un treno impazzito, un convoglio senza freni, in una corsa allucinante che dura solo un mese, ma dove un mese sembra essere l’eternità. In questo periodo, il cittadino comune si ritrova al centro delle attenzioni di molti, tutti candidati, che lo riconoscono per strada, lo salutano, lo avvicinano, lo contattano al telefono, via email, su Whatsapp o su Facebook, coccolandoselo come se fosse la risorsa più preziosa al mondo, più della propria madre o della propria moglie.

E lui, il cittadino elettore, cosa dovrebbe fare? Con il suo treno, a questo punto, si troverebbe come di fronte a un bivio: da un lato, mettendo da parte il percorso piú complicato e seguendo invece la strada più facile, parafrasando il Poeta, il cittadino non potrebbe fare altro che subire “la tensione che c’è di qua”, ossia, ricambiando in nome di una parentela o di un’amicizia vera o presunta (l’una o l’altra ci sono sempre!), partecipare allo sforzo che ciascun candidato compie per aver messo in gioco il proprio volto, arricchito da un sorriso e miracolato da San Photoshop. Il tutto, mentre qualcuna, che attraverso lo spirito del blues, beata lei, ha capito tutto, continuerebbe a cantare, aspettando che in salita il treno rallenti, forse “per gettarsi giù”. Intanto, fioccano come non mai inaugurazioni, tagli di nastro, cerimonie e convegni di ogni risma. E nell’aria si diffonde il profumo del bitume, a rinnovare strade e asfalti, con buona pace dei gommisti cittadini, che vedono ogni elezione con astio e ribellione, e che sono ormai divenuti, ma solo per convenienza, sostenitori di dittature più dei nipotini nostalgici del Duce.

In uno scenario siffatto, fioccano candidati che, stretti in cravatte soffocanti e quasi naufraghi in abiti tre taglie più grandi, sorridono a trentadue denti e, ringraziando indistintamente, stringono mani a chiunque, mentre si impegnano a dare ai giovani un lavoro sicuro, garantire ai vecchi la pensione e migliorare la qualità della vita in città: e sono gli stessi che, a casa propria, non sanno prepararsi neanche un caffè. Altri, a metà tra squali e caimani, al potere da decenni, pontificando si autoproclamano “storia” e annunciano che l’era delle attese è finalmente terminata, e che domani ci sarà un nuovo orizzonte verso il quale guardare, mentre il proprio eloquio oratorio abbonda di “d” al posto di “t”, in ossequio all’accento di queste parti, che ne ha viste davvero tante nei suoi secoli di onorata storia e disonorata dignità. Ma cosa succederebbe se quel treno non dovesse fermarsi, ma correre all’impazzata portando la comunità verso l’ennesima catastrofe democratica? Cosa importa, tanto “il candidato riformista del vagone in coda”, come sempre, si salverà…

PS: Attenzione….ma l’altra strada, quella più difficile? Beh, quella porterebbe a seguire un’Idea, che si sa, al di là di amicizie, parentele, favori e clientelismi, non può morire…mai…

“…Ci salveremo disprezzando la realtà,
e questo mucchio di coglioni sparirà…”
(da “I mistici dell’occidente“, Baustelle, 2010)

Di Luigi Caputo

Idealista e visionario, ama l'arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia...