Storie di alberi, donne, uomini. In un romanzo atipico edito da Einaudi, un atto d’amore verso la natura, con spunti di rara e sapiente bellezza
La storia dell’umanità è intrecciata a doppio filo con quella della natura. Uomini e donne nascono, crescono, muoiono. Proprio come le piante. Il loro germogliare è come quello di una vita che conosce stagioni di fortuna e leggerezza alternate ad altre di sofferenza e malinconia, con l’istinto naturale e la voglia di andare avanti nonostante gli ostacoli che si presentano a sbarrare il cammino. Alle piante l’umanità deve tutto. Nella loro presenza c’è la ciclicità della vita, ma anche la varietà di caratteri e sentimenti diversi, proprio come quelli che identificano e distinguono una persona da un’altra.
La foglia di fico di Antonio Pascale è un atto d’amore dell’uomo verso le piante. Una narrativa originale, quasi in forma di diario, che racconta esperienze vissute dall’infanzia alla maturità. A loro, che lo hanno formato e confuso, Pascale (che lavora come ispettore al Ministero delle Politiche Agricole) si rivolge con la memoria che ondeggia tra episodi del passato e rimandi al presente, in un viaggio alla riscoperta di se stesso, per comprendersi meglio grazie soprattutto alle piante e alle loro immutabili caratteristiche. Il volume, edito da Einaudi, è un romanzo atipico, dove lo scrittore campano, con toni che spaziano dal drammatico al comico appassionando e divertendo il lettore, racconta dieci storie (impreziosite dalle illustrazioni botaniche di Stefano Faravelli) a partire da una suggestione botanica che funge da gancio per le proprie rimembranze. Così il cactus, pianta forte e talmente resistente da sopravvivere nei deserti, nelle steppe alpine e nelle foreste tropicali grazie alla capacità di assorbire acqua e di accumularla nel suo tessuto spugnoso, gli permette di tracciare la sua esperienza con Sara, donna spinosa alla continua ricerca di un senso per le cose e per le relazioni, con la quale ha avuto un rapporto conflittuale e deteriorante sin dal primo incontro a Fuorigrotta. Il ricordo porta con sé il rimando a un’altra memoria, quella del rapporto di amicizia con Antonino, collega di botanica che in una lezione sottolinea quanto il cactus, pianta solitaria e indipendente, faccia della propria caratteristica un punto di forza e di debolezza insieme. Se poi con il tiglio, dalle foglie con la classica forma a cuore asimmetrico, tenero e a grana uniforme, si parla di ombre e traumi, il pino è metafora di immortalità per gli aghi sempreverdi e per il profumo che secondo l’autore ricorda una dea benevola.
Con il faggio invece il discorso cade sulla compassione e sulle anime in pena: “Sarebbe bello “ – scrive Pascale – “tornare alla natura sotto forma di nebbia che si alza sulla chioma dei faggi”. E la memoria del protagonista corre alle altalene costruite dal padre, ma anche alla comitiva con Roberto ‘u filosofo, Enzo, Sergio, Corrado e Alba, e a quell’estate di iniziazione di quarant’anni prima tra eccitazione e paura, in un paese del sud Italia che aveva conosciuto la sventura del terremoto del 1980. L’apice del lirismo narrativo è forse quello in cui si parla del ciliegio, metafora della fioritura e quindi della primavera come stagione portatrice di vita e di colori. Figure centrali del capitolo sono Cristina, ragazza contesa tra l’io narrante e Antonino, e Melania, ragazza inquieta innamorata di Cechov. Il protagonista confessa: “Siamo fortemente, biologicamente, legati alle piante, ma pur parcheggiando le nostre macchine sotto le loro chiome, bruciandone il legno, mangiandone i frutti, pur facendo questo e altro, non le conosciamo: peccato, nelle loro radici c’è la nostra eredità, nei tronchi una nota del tempo, atmosferico e cosmico, che dovremmo ascoltare”.
Il fico è invece l’eredità del desiderio, e traccia un filo invisibile che parte dalla metafora biblica di Adamo ed Eva intenti a coprire le proprie vergogne con una foglia di fico per arrivare a generalizzare sulla miseria umana e sulle aspirazioni a liberarsi da ogni forma di schiavitù mentale che possa costituire ostacolo alla vera conoscenza. Se infine la quercia trasmette forza, l’olivo suggerisce l’importanza dell’adattamento tra profondità e superficie. Infine, il grano offre il suggello a quel viaggio di catarsi che passa dalla morte dell’individuo alla sua rinascita. Affermare che La foglia di fico sia solo un romanzo significherebbe sminuirne la natura. Quella di Pascale è piuttosto una botanica dei sentimenti che, attraverso la forma del racconto in fiore, indaga sulla natura umana attraverso le piante. Una narrazione originale e ricca di vita, con spunti di rara e sapiente bellezza.
Antonio Pascale, LA FOGLIA DI FICO, 296 pagine, Einaudi, 2021.
Idealista e visionario, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…