“C’è qualcosa di più importante della logica: è l’immaginazione“. Lo affermava Alfred Hitchcock, uno che di immaginazione certo se ne intendeva. E di immaginazione vive senz’altro chi si occupa di videomaking, e mette la propria creatività al servizio di storie che prendono forma dietro l’occhio della propria macchina da presa. Mauro Nigro è uno di questi. Videomaker talentuoso, si occupa di produzione video a tutto tondo e ha all’attivo sia esperienze di regia, che di cortometraggi, spaziando dal mondo dei videoclip a quello del piccolo schermo. Il suo short-movie “Una Donna Col Cervello“, prodotto da N2 Video Production e vincitore del Miglior Cortometraggio Horror al FI.PI.LI Horror Fest 2017, a nostro avviso è una della migliori opere del settore degli ultimi anni, ed è stato recentemente selezionato tra i finalisti alla 21ma edizione del prestigioso Festival internazionale del cortometraggio CortoLovere – direttore artistico il critico Gianni Canova e presidente di giuria l’attore Antonio Albanese – in programma dal 24 al 29 settembre 2018 nella cittadina sulle sponde del Lago D’Iseo (BG).
Abbiamo incontrato Mauro proprio alla vigilia del Festival.
Quando hai scoperto la passione per il videomaking, e quando hai capito che era più di una passione?
Sono un divoratore di video fin da bambino. Film, telefilm, cartoni animati, fumetti. In un momento di indecisione totale nella mia vita ho fatto un corso come esperto tecnico multimediale. Ci andai perché c’erano lezioni di grafica e di trattamento dell’audio. C’era, però, anche un corso di videomaking. Ho notato come le cose (anche grazie ai computer che già allora si usavano) fossero più semplici di quanto immaginassi. Almeno per me. Da lì una serie di casualità, complice la mia allora docente Simona Crea, mi hanno portato a lavorare in una televisione locale. Poi di passo in passo fino a qui ed ora. Ogni volta scoprendo di essere in grado di fare cose che pensavo fossero difficilissime. E’ diventato tutto più di una passione lentamente. Cominciando a guadagnare.
“Una donna col cervello” ti sta dando belle soddisfazioni. Come è nata l’idea del plot, e in quanto tempo è diventato il lavoro apprezzato da pubblico e critica?
La “Donna” (come amo chiamarla affettuosamente), è nata molti anni fa ormai. Credo almeno nel 2011, sotto forma di racconto. Un racconto scritto pensando per immagini. Pubblicato su dei siti per amatori (primo fra tutti il bellissimo Splattercontainer)ha ricevuto moltissimi apprezzamenti. Poi è diventato un fumetto, per mano di Diego Longo, che aveva letto il racconto online e mi chiese di trasporlo. Il fumetto partecipò ad un contest del sito Verticalismi, ottenendo, anche in questo caso, un buon consenso(nota- purtroppo/per fortuna di entrambi non vi è più traccia nel mare magnum di internet) . Così, arrivato il momento in cui mi sono sentito pronto, ho deciso di farne un corto.
Una totale autoproduzione coadiuvato da gente volenterosa come Maria Rosaria Cozza alla produzione, Giuseppe Colonese e Gigia Pansera al reparto fotografia e Andrea Gallo ed Ada Biafore al make up scenico. Dopo una falsa partenza, nel 2015, con un cast sbagliato, di comune accordo con tutto lo staff, abbiamo ricominciato con quel prodigio che è stata Saverina De Fazio, attrice che ha dato vita ed emozioni ad un personaggio tutt’altro che facile. Infine si è aggiunto Andrea Giuda ed il tutto è funzionato perfettamente. Grazie anche ai diligenti personaggi secondari. Insomma una crew di tutto rispetto. Poi, ultimate le riprese, un lungo e certosino lavoro di montaggio, color e VFX audio e video. Alla fine del 2016 la “Donna” era pronta.
David Cronenberg ama dire: “Io lavoro con i miei sogni o con i miei incubi…”. Con cosa lavora Mauro Nigro?
Mi vergogno anche solo a scrivere dopo aver visto citato Cronenberg. Ma tant’è…la colpa è tua Luigi! Io lavoro con idee. Spunti che arrivano a caso. Se riescono a trasformarsi in una storia allora, per me, possono funzionare. Ho questa concezione terribile per cui una storia debba avere UN INIZIO ed UNA FINE. Non amo molto, o forse meglio dire, non sono capace di scrivere ed inventare racconti slegati, troppo allegorici o surreali. Non amo i racconti di porzioni di realtà in cui, alla fin fine, non succede nulla. Tendenzialmente le mie idee, noto col senno di poi, convergono verso lati oscuri del vivere e dell’umanità. Ma non è una cosa studiata a priori. Saranno le influenze di ciò che amo. Ma non ne sono certo. Sono un fruitore onnivoro. Ma prediligo alcune atmosfere.
Quali sono i tuoi modelli e le tue fonti di ispirazione?
Un elenco lunghissimo sta per occupare questo spazio! Scherzo. Citerò gli indispensabili. Nel cinema John Carpenter su tutti. Ma è doveroso menzionare George Romero, Michael Mann ed il cinema di genere italiano degli anni ’70. A livello narrativo e di scrittura (citando i primi che mi vengono in mente) King, Matheson, Poe, Evangelisti, Richler ma anche Pratt, Ennis e Sclavi.
Per strada trovi una lampada, ovviamente genio-dotata. L’Aladino in questione vuole produrre il tuo prossimo film. Ovviamente hai budget infinito per il cast. Chi decidi di chiamare, vivente e non?
Sto fissando lo schermo da 10 minuti. È una possibilità talmente enorme che la mia fantasia non riesce a sviluppare nulla! So che chiamerei Dean Cundey come direttore della fotografia e Rob Bottin e Tom Savini agli effetti speciali. Forse cederei il mio posto a Wes Craven o a Romero. Forse farei una “tarantinata” mettendo nello stesso film Kurt Russel, John Belushi, Mariangela Melato e Danny Trejo.
La tua vocazione artistica non è solo declinata alla settima arte. Oltre al cinema, c’è infatti anche la musica. Non solo quella raccontata nei videoclip di cui firmi la regia, ma anche e soprattutto quella scritta, di cui sei autore e interprete. Parliamo di Cassidy, il tuo più recente progetto solista, che arriva dopo le esperienze in band come gli Impasto Nudo, i Coffea Strange e gli Ogun Ferraille. Come nasce Cassidy?
La musica è sempre stata la mia prima passione. Forse lo è tutt’ora. Ma la vivo in maniera molto diversa. Più compassata, direi (ma non chiedetemi opinioni musicali o divento cattivo). Cassidy è un progetto più che un nome d’arte. Nasce circa tre anni dopo la fine del gruppo con cui suonavo gli Ogun Ferraille. Assorbito il colpo (so che suona un po’ patetico, ma dopo 8 anni non è stato semplice chiudere quel capitolo), passato il rigetto di tutto ciò che comporta il suonare, si è rifatta viva la voglia di far musica. Ho deciso di ripescare dei brani che avevo scritto negli anni passati, e che, per oggettiva incompatibilità sonora, non poterono trovare spazio nel progetto precedente. Erano tutti brani incisi in maniera piuttosto Lo-Fi , con un otto piste portatile, in vari posti e vari momenti della mia vita. Lavorati in studio da Alberto La Riccia hanno acquisito una dignità sonora. Da lì il desiderio di suonarli un po’ in giro, coadiuvato da amici volenterosi e tolleranti, primi fra tutti Nicola Comerci dei Sick Dogs e Daniele Sorrentino alias Hacienda D. Il gioco ora mi ha un po’ preso la mano, visto che sto lavorando su un disco nuovo.
Nei brani del tuo disco “Worst mortal accidents happen at home” si avverte un senso di precarietà. Un disco senz’altro originale, dai toni cupi, con atmosfere rarefatte. Un grido esistenziale che lascia il segno. Per chi e contro cosa?
WMAHAH (mi piacciono i titoli semplici!) è un disco figlio di tempi diversi. Il leitmotiv è indubbiamente la difficoltà dei rapporti umani. Il putiferio che è conseguenza delle relazioni. In essere, troncate, appena nate. Ma anche, semplicemente, la difficoltà a relazionarsi col mondo. Insomma, niente di nuovo. Solo che è la mia prospettiva. Scrivevo per me. Non avevo filtri. Quindi sono arrivato ad essere brutalmente diretto anche nell’autocritica presente in alcuni pezzi. Così come nelle parole sprezzanti per ciò che non mi piace. Poi, a quanto mi dicono, sono estremamente malinconico di mio. Insomma, i toni cupi pare siano il mio forte!
Hai portato in giro il disco per diverse tappe. Qual è stato il regalo più bello del tuo pubblico e la cosa che ti ha sorpreso di più durante le esibizioni live?
Ho tre ricordi bellissimi. Uno è l’esibizione al Re Start Cosenza Vecchia, a Piazzetta Toscano. C’era molta gente per l’evento ed era passato molto tempo dalla mia ultima esibizione solista. Non sono molto abituato, anche se, da allora, è ricapitato. È stato tutto molto diretto e bello per me, nonostante fosse molto difficile. Il live più bello è stato senza dubbio al Circolo Lebowski di Ragusa. Pubblico attentissimo e nel pezzo “caciarone” finale si son messi a tenere il tempo con noi, con tutto quello che avevano a disposizione. L’ultimo ricordo che merita di essere menzionato, in ordine di tempo, è stato l’aver partecipato alla presentazione del libro di Emidio Clementi. Serata organizzata dal Filo di Sophia, al Teatro dell’Acquario, ho contribuito all’evento con tre cover in italiano(ed io canto solo in inglese). Aver ricevuto i complimenti, che parevano sentiti, di Clementi è stato bello.
Cosa contiene il tuo cassetto?
Il mio cassetto è come la mia stanza e come il mio cervello. Disordinato. Contiene tante storie che vorrei raccontare. Con la speranza di poterlo fare con mezzi sempre migliori. Ma, soprattutto, di poterle raccontare a sempre più persone.
Idealista e visionario, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…