L’Home Festival di Treviso, diciamolo, non si è aperto proprio nei migliori dei modi, per lo meno per quanto riguarda la line-up dei gruppi principali: l’annullamento, a solo qualche ora dall’apertura dei cancelli, della giornata di venerdì 1 settembre e del relativo attesissimo concerto di Liam Gallagher (in Italia dopo tantissimo e poco prima della pubblicazione del suo primo album solista) ha da subito fatto sorgere malumori e polemiche nell’animo dei fan e delle migliaia persone in movimento da tutta Italia.
E’ così, infatti, che siamo partiti anche noi, quel venerdì pomeriggio: con tanto scetticismo e quell’immancabile sostrato di ansia, in previsione della data della domenica, quella che avrebbe riportato i The Libertines in Italia dopo più di due anni dall’ultimo concerto nel nostro Paese.
Ma, dopo una giornata di aerei mancati, viaggi contorti, piogge e momenti surreali, eccoli, puntualissimi, spuntare sul Main Stage dell’Home Festival: alle 23.00 spaccate, infatti, Peter Doherty, Carl Barât, Gary Powell e John Hassall cominciano il loro concerto davanti ad un pubblico numeroso, ma un po’ freddo.

Fin da subito, però, le sensazioni sono positive: la band sfrutta al meglio il ristrettissimo tempo a disposizione (un’ora di stage time dettata dall’organizzazione del Festival), alternando in una sequenza serrata alcuni pezzi estratti da “Anthems for Doomed Youth” (2015) e i successi più iconici che hanno reso questo gruppo uno dei più influenti della scena britannica post brit-pop.
Alle recenti “Barbarians”, “Heart of The Matter” (un pezzo veramente ben confezionato, che si conferma diventare perfetto e potente quando eseguito live), “Fame and Fortune”, “The Milkman’s Horse” e “Gunga Din”, infatti, fanno eco le chitarre frenetiche e i testi intensi di pezzi come “The Delaney”, “Boys in the Band”, “You’re My Waterloo” – eseguita in maniera perfetta dalla voce pulita di Peter Doherty e impreziosita dal pianoforte, prima, e dalla chitarra, poi, di Carl Barât – “Death On The Stairs” e “What Katie Did”, che, in maniera speculare alla precedente, è eseguita perfettamente dalla voce calda di Carl e integrata in maniera simbiotica dalla chitarra di Peter, a confermare, una volta di più, la loro stupenda e inattaccabile alchimia musicale e lirica, oltre che personale.
Per l’encore, la band torna sul palco indossando quattro tipiche maschere veneziane: un saluto e un tributo alla regione che ospita il Festival, ma anche a tutto il loro pubblico italiano, che non si è mai stancato di aspettarli e di amarli. E questo amore viene ripagato con la tripletta di “Music When The Lights Go Out”, “Time For Heroes” e “Don’t Look Back Into The Sun”. Tre pezzi diversissimi tra loro, ma che esprimono e riassumono perfettamente l’essenza dei Libertines: dolcezza e cinismo, poesia e punk, romanticismo e distruzione.
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Nel mezzo del concerto, risuona potente come un tuono l’urlo di “Can’t Stand Me Now”, il pezzo che, meglio di qualunque altro, racconta il rapporto travagliato, tossico e bellissimo dei due frontmen, quello che ha fatto nascere la band e alcune delle canzoni più belle del rock d’oltremanica degli ultimi tre decenni, e che poi l’ha distrutta: “Have we enough to keep it together, or do we just keep on pretending and hope our luck is never ending?” si chiede Peter Doherty, cercando costantemente lo sguardo di Carl al suo fianco. Questa complicità ritrovata dopo la reunion di tre anni fa porterà ad un nuovo e importante capitolo per la band, in maniera più adulta e consapevole? Basterà la forza di un’amicizia che ha resistito a tutto – al tempo, al dolore, ai litigi, alle dipendenze, al carcere, agli scandali, alle incomprensioni – a dare una nuova e duratura opportunità alla bellissima musica dei Libs? Chissà. In quel momento, però, né loro, né il pubblico (che ora è diventato più numeroso e partecipe), nessuno, sotto, sopra e intorno a quel palco a Treviso, ha voglia di pensare alla risposta: bastano i sorrisi, gli sguardi complici, la carica, l’energia e l’empatia – non scontata – con cui i quattro si sono presentati sul palco. La risposta la stiamo pensando e sperando tutti, ma non la vogliamo dire ad alta voce perché, come tutti i sogni, come tutti i desideri e come tutti i momenti di felicità in generale, dirlo ad alta voce sembra far svanire la magia, l’incanto, la bellezza di un istante.
Ci basta quello che abbiamo visto, sentito, vissuto: la musica nella sua forma più pura e bella, quella libera da produzioni mastodontiche ed effetti sorprendenti, ma carica di chitarre, voci non perfette e melodie bellissime. E una bellissima storia di amicizia e amore, le due facce dello stesso sentimento, dello stesso legame: quello tra due ragazzi che, per fortuna loro e nostra, si sono incontrati, capiti, compensati, traditi, mancati e perdonati, e che, 15 anni dopo, sono ancora qui e si vogliono bene. Perché, forse, la bellissima serata di domenica scorsa, è riassunta da un’altra delle frasi delle loro canzoni: “Oh,my friend, you haven’t changed, you’re looking rough and living strange”.

Setlist:
- Barbarians
- The Delaney
- Heart of the Matter
- Boys in the Band
- Fame and Fortune
- The Milkman’s Horse
- You’re My Waterloo
- Can’t Stand Me Now
- Death on the Stairs
- What Katie Did
- Gunga Din
- The Good Old Days
Encore:
- Music When the Lights Go Out
- Time for Heroes
- Don’t Look Back Into the Sun
“Death On The Stairs” – live @Home Festival
“Can’t Stand Me Now” – official video
Si definisce una persona totalmente dipendente dalla musica, prevalentemente rock e british. Lavora nella Comunicazione e, nel tempo libero, va a concerti, legge, divora serie tv, viaggia