“Vi abbraccio tutti, cristianamente”. Era la Tribuna Elettorale per le Politiche 1987, un periodo in cui l’Italia era governata dai battibecchi tra Craxi e Forlani, e di Tangentopoli non c’era ancora l’ombra. Nella campagna elettorale dominata da politici di professione, arriva lui, Paolo Villaggio, per una volta serio, a scardinare un equilibrio patinato rivelandone il rovescio della medaglia. Era l’ennesima provocazione di un personaggio che come pochi negli ultimi quarant’anni è stato archetipo di una comicità intelligente, una maschera sociale che ha descritto meglio di qualunque saggio di sociologia le miserie dell’italiano medio, una sorta di Oblomov dei nostri tempi, impiegato inetto e succube di una società fatta per i furbi e gli arrivisti. Stiamo parlando ovviamente del rag. Ugo Fantozzi, che dopo l’esordio letterario post-sessantottino ha inaugurato una saga cinematografica prima originalissima e poi tristemente replicata con tristi sequel di cassetta. Ma i primi film, no: quelli, magistralmente diretti da Luciano Salce, restano un capolavoro assoluto della comicità di ogni tempo, secondo forse solo alle maschere inarrivabili proposte da Totò e Alberto Sordi. Modi di dire entrati di diritto nel quotidiano, da “Com’è umano lei!” a “Rutto libero“, passando per “92 minuti di applausi“, “Batti lei?” e molti altri, animati da un’anarchia ribelle soppressa dal servilismo e dall’obbedienza verso i superiori.
Ma Villaggio non è stato solo Fantozzi. Lo dicono le prove attoriali dirette da mostri sacri come Federico Fellini (“La voce della luna“, 1990), Ermanno Olmi (“Il segreto del bosco vecchio“, 1993), Marco Ferreri (“Non toccare la donna bianca“, 1974), Lina Wertmuller (“Io speriamo che me la cavo“, 1992), quasi nascoste in mezzo una filmografia sterminata di titoli di bassa qualità che continuano a fare la fortuna delle tv private.
Ho avuto il privilegio di vederlo a teatro, il 16 aprile 2004, a Cosenza, per il suo monologo “Delirio di un povero vecchio“. Quella sera il Teatro Rendano era clamorosamente semivuoto, per cui sembrava di assistere a una serata tra amici, con un amico particolare, che mi ha fatto ridere e commuovere fino alle lacrime soprattutto quando ha raccontato della sua Genova, quella della Liberazione, quando da ragazzo innamorato della sua Maura sembrava davvero che i sogni potessero avverarsi tutti… Riposa in pace Maestro… so che dall’altra parte avrai trovato un ragazzo con la chitarra e la sigaretta perennemente accesa, che di nome fa Fabrizio e di cognome De Andrè: la vostra versione di ‘Carlo Martello’ farà ridere anche San Pietro, ne sono sicuro…
Idealista e visionario, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…