Che la stessa struggente mano di «amore mio / come farò / a rassegnarmi a vivere?» (Cinque giorni, 1994), la stessa penna lirica di «Nella guerra dei numeri / che speranza hanno i deboli? / Forse brillano / giusto un attimo / per tornare nell’oscurità» (L’impossibile vivere, 1998) possa aver concepito bordate come «Fantrappisti in mutande che puntate sul flow / giornalisti a quattro zampe che nemmeno su YouPorn», e che da quegli stessi polpastrelli di classiche, immortali melodie possa essere uscito questo modernissimo extrabeat, letteralmente inaudito per tante, troppe orecchie italiane, potrebbe far trasecolare. Specie chi non l’abbia ancora conosciuto per il gran cantautore che è (nel qual caso, si recuperino due dei dischi più belli degli ultimi vent’anni: Credo, 2018, e Ego, 2020), di fronte a questo Pornocrazia (singolo che anticipa Zoo, album di prossima uscita) scandalizzato potrebbe domandarsi: che è successo a Vincenzo Incenzo? Ma la risposa è semplice: niente. A Incenzo non è successo assolutamente niente.
È successo tutto a noi. Alla nostra contemporaneità, al nostro tempo sempre più storto, a questo Duemilaniente (termine-chiave e leitmotiv di tanta della scrittura di Incenzo) in cui siamo insieme vittime e carnefici, prede e predatori, merce di consumo e consumatori di noi stessi – noi, i cosiddetti umani. Ed è appunto per questo, per lo sconfinato senso d’appartenenza e d’amore a ciò che davvero è umanità, che oggi Incenzo mette da parte lirica e malinconia e sceglie la strada dell’invettiva, con un singolo che va ben oltre anche le precedenti bordate poetico-polemiche (Je suis, Un’altra Italia, Allons, enfants!), per farsi autentico e sferzante grido di protesta: «All’arrembaggio idioti di questo tempo nostro, / sparatevi una story sul luogo del disastro, / vi do il testo: “ultimi attimi di gloria”. / Vi aspetto il giorno quando privatizzeranno l’aria…». Un grido, però, e sta qui l’originalità di un brano accattivante (grazie anche alla produzione, avveniristica e artigianale insieme, di Jurij Ricotti e DLewis) ma non facilissimo all’ascolto (per inciso: basterebbe già questo per capirne l’urgente artisticità, in controtendenza e, di nuovo, in polemica com’è con l’ormai dominante moda del singolo confezionato ad hoc per aumentare i click), «che diventa opinione». Non si tratta, infatti, banalmente, di un grido fine a se stesso, o, peggio, dell’ennesimo punto-di-vista espresso a urla a grida a vaffaday, no: Incenzo, qui, ribalta i piani, lasciando che sia l’opinione a scaturire naturalmente dal grido, esattamente come il razionale che ci distingue (dovrebbe distinguere?) dalle altre specie scaturì dall’animale che comunque restiamo. Solo così, accogliendo privo di retoriche il puro, prepolitico, brado istinto al grido, ma senza lasciarlo alla sterile eco di se stesso, Incenzo riesce, umanista, a far sì che «la testa» sia «azione» e i «piedi…suono», totalmente devoto, col corpo e con la musica, coi gesti e le parole, alla causa morale per eccellenza.
La stessa che poco più di un secolo fa, ma sembrano passati millenni, aveva ispirato a Zola queste parole: “L’atto che qui io compio non è che un modo rivoluzionario per accelerare l’esplosione della verità e della giustizia. Ho solo una passione, quella della luce, in nome dell’umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità” (J’accuse, 1898).
Pornocrazia
Testo e musica di Vincenzo Incenzo
Prodotto da Jurij Ricotti e DLewis
Distribuzione: Artist First
Foto: Pitta Zalocco
Artwork: Alessandro Palmigiani
Videoclip: Luca Bizzi
Nasce a Roma nel 1993. Scrittore e critico teatrale, ha pubblicato i libri di poesia Pagine in corpo (Empiria, 2015) e L’uomo è verticale (Empiria, 2018) e il saggio critico Zero, nessuno e centomila. Lo specifico teatrale nell’arte di Renato Zero (Arcana, 2019). Dal 2017 collabora con il blog di R. di Giammarco Che teatro che fa su Repubblica.it.