Il documentario diretto da Elisa Fuksas sulla cantante milanese crea uno spazio e una dimensione fuori dal tempo
“Ho inventato uno spazio nelle terme di Castrocaro – dice la regista, Elisa Fuksas, di formazione architetto – in un hotel Anni ’40, in cui Ornella era andata a riposare e dove mi aveva invitata a passare alcuni giorni con lei. Ho sentito sarebbe potuto succedere qualcosa e che quello fosse un posto per la sua storia: io non volevo portarla nei luoghi della sua vita, perché fosse uno sguardo prospettico, architettonico, e non un requiem. Ho scelto di raccontare sempre e solo un piano, un angolo, non c’è mai il controcampo: un mondo bidimensionale perché totalmente inventato, in cui il centro è lei”.
Curioso notare che tanti registi, come Fuksas, abbiano studiato architettura; si pensi a Comencini o Lattuada, mentre Antonioni aveva una sensibilità spaziale e architettonica unica.
“Sono tantissimi i registi italiani laureati in architettura – afferma Gianni Canova – perché un film, quanto un artefatto architettonico, hanno bisogno di un progetto, un sostegno economico e sono delle pratiche collettive, con la necessità di una squadra che funzioni. L’architettura produce artefatti statici in cui ti muovi dinamicamente, il cinema produce artefatti dinamici in cui sei costretto alla staticità propria della sala”.
L’architettura di Senza fine, documentario che racconta Ornella Vanoni, è una struttura termale anni ’40; l’acqua è una presenza dominante, l’elemento naturale da cui la protagonista emerge e cui ritorna. “Ornella Vanoni è come l’acqua: incontenibile, dinamica, inafferrabile, potentissima. E, soprattutto, cristallina. Perché schietta, decisa, incapace di girare intorno alle cose”.
La fotografia di Fuksas inquadra spazi vuoti e rarefatti, ma ciò che interessa di più è l’architettura del progetto, che appare un’opera destrutturata. A visione conclusa, ci si interroga su quali fossero le intenzioni originali della regia e della sceneggiatura, se Ornella abbia boicottato il progetto di Fuksas. Senza fine è tutto un gioco tra realtà e artificio, finzione; è quasi teatro, è improvvisazione, è un lavoro che svela la costruzione, i retroscena, il dietro le quinte. Senza fine è un “metafilm”, un’opera aperta, dalla forma indeterminata e dal sapore contemporaneo, che fa della propria incompiutezza l’elemento cardine, con tanto di take ripetuti e cambi delle ottiche ad intervista in corso. Non viene risparmiato nulla: letture del copione, difficoltà, neanche gli scontri e le discussioni con la produzione. La stessa regista la definisce un’opera anomala, un docufilm sui generis, unica come l’artista protagonista. Fuksas cerca di raccontare e dirigere una grande protagonista della scena musicale italiana, ma finisce per assecondare ciò che naturalmente l’artista milanese offre, genera e il progetto finisce per piegarsi all’imprevisto, al presente e accettarlo.
“Sul set tutto è saltato dal secondo giorno, i tempi si sono dilatati, lei a volte era disponibile solo 2 ore al giorno, era stanca, non scendeva per le riprese. Si è creato un caos che alla fine ho scelto di assecondare, è l’aleatorietà della situazione che ha generato il film”. “Sto documentario dove sta andando? Come lo finiamo?” si chiede la regista, con il copione in mano, in assenza della protagonista, che, dall’alto dei suoi 87 anni, sfugge legittimamente alle regole della produzione e ai tempi del cinema, troppo impegnata a vivere intensamente per perdere tempo a ricordare i numeri, le date, la quantità di canzoni scritte e di album pubblicati.
È estate: “fa caldo” ripete più volte Ornella, che preferisce giocare con la sua cagnolina Ondina, come una bambina. D’altronde lei ha giocato tanto nella sua vita, sovvertendo le regole e creando sempre qualcosa di nuovo, inaspettato, anomalo, diverso. L’elemento più interessante del lavoro sta proprio nel rifiuto da parte della protagonista di stare alle regole della direzione, nella sua spontaneità e genuina irritazione, nell’impossibilità di dirigere l’artista Vanoni, diva autorionica e decadente, sfrontata e volubile. Fuksas finisce per rinunciare a tracciare un ritratto esaustivo, in quello che risulta un lungo backstage senza forma definitiva, non aggiungendo nessuna informazione che non si conoscesse già. Il risultato non è un documentario tradizionale, agiografico, con ritagli di giornali, vecchi filmati e interviste ad amici, ma il resoconto dell’impossibilità di raccontare linearmente un’artista così imprevedibile.
“Non volevo studiarla – dichiara Fuksas – dalla biografia ho capito che era impossibile studiarla: anche lì non c’è una data, il tempo è tutto aggrovigliato in se stesso, non ti puoi orientare”. L’artista guarda al passato solo come a un incanto perduto, un passato che non ha date, numeri, ma è tutt’uno, unico e indistinto. Ciò rivela di quanto a Ornella piaccia il mistero, ed essere rappresentata come sirena beffarda che in fondo non si vuole raccontare perché raccontarsi è noioso per chi ha vissuto intensamente la sua vita, dando anima e corpo. “Ho capito che il vero film consisteva proprio nel raccontare la difficoltà di realizzare una pellicola su di lei, anche attraverso il nostro rapporto” dichiara la regista, che sceglie di mettersi in scena, quasi sullo stesso piano della cantante, mostrandosi troppo protagonista.
Gli ospiti, Vinicio Capossela, Samuele Bersani, Paolo Fresu, sono dei fantasmi che animano questo spazio atemporale e “stanno al gioco come in 8½”. Le conversazioni confondono dentro e fuori, scena e fuoriscena confluiscono nello stesso filo narrativo, “perché con Ornella non c’è tempo di pensare, si può solo fare. E poi scoprire che fare è un modo di pensare. E di raccontare, anche una fiaba, anche la vita”.
Presentato alle Giornate degli Autori durante la 78ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il documentario risulta una sequenza di frame fotografici formalmente ricercati, conversazioni e domande lasciate in sospeso, ricordi e pensieri a metà, immersi nella Milano del dopoguerra senza alberi: “i poveri ne avevano fatto legna per riscaldarsi” – dice la cantante, che non racconta niente che già non si sappia. “Quando sono tornata a Milano dopo il collegio c’erano Jannacci, Gaber, Fo, Pozzetto, mi sono divertita come una matta. Jannacci girava con la vespa, il bassista e il basso in mezzo. Era matto, ma era molto simpatico. Il più adorabile però era Gaber”. Racconta del Piccolo e della storia d’amore con Giorgio Strehler, di come Gino Negri l’avesse spinta a cantare, delle canzoni della mala, e del passaggio al cantautorato dopo l’incontro con “quel frocio” di Gino Paoli, fino alla sua scelta di rimanere da sola per tanti anni, dopo aver avuto dalla relazione con l’impresario teatrale Lucio Ardenzi suo figlio Cristiano, verso cui rivela di essere stata una madre poco presente. Accenna alla sua depressione: solitudine e depressione sono ombre sullo sfondo per la durata totale della visione. “Mi manca la tenerezza”. “Quando entravo in una stanza d’hotel, nel grande letto a due piazze stendevo tutti i miei vestiti dalla parte in cui non dormivo, per sentire la stanza meno… meno…”, “Desolata?” – suggerisce Fuksas.
“Ho avuto coraggio – ha detto l’artista – mi mostro con il corpo alla mia età, mentre mi massaggiano la pelle in sfacelo o sto in acqua. Sono sempre stata una spudorata, una non formale, mi etichettavano così sin da giovane […] Io sono spudorata, ormai lo sanno tutti, non me ne importa di niente”. Ornella si racconta, ricordando di essere stata una giovane donna timida, fuori posto, con molte insicurezze, ma sempre libera “Sono sempre stata libera ma sempre molto triste”. Racconta ora di aver imparato ad amarsi, racconta di una vecchiaia serena, consapevole, cosciente, appagata, che nemmeno lei avrebbe mai immaginato potesse esistere, un’oasi inaspettata: “intanto sono viva!”, dice con stupore e forse, finalmente, gioia. “Un film sulla mia vita fino a un certo punto è reale, poi è irreale. È come una fiaba, è bello finire la vita in una fiaba”.
SENZA FINE (Italia 2022, Documentario, 80′). Regia di Elisa Fuksas. Con Ornella Vanoni, Samuele Bersani, Vinicio Capossela, Paolo Fresu, Elisa Fuksas. I Wonder Pictures.

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