Parlare di Clint Eastwood mette in soggezione, si prova il perenne dubbio di non aver usato le parole corrette per descrivere la sensazione che qualsiasi suo lavoro riesce a trasmettere. Spesso questo dubbio si trasforma in certezza. Il suo ultimo film The Mule è l’ennesimo tassello di una produzione che, negli anni, ha trasformato Dirty Harry nel più grande regista vivente.
Il novantenne Earl Stone, floricoltore in pensione forzata, diventa, quasi per caso, il più grande autista della cocaina al servizio di un cartello. Con il suo pick up trasporta ingenti quantitativi di polvere bianca da un capo all’altro del paese. Resosi conto del suo lavoro poco pulito, deciderà di continuare per provare, attraverso il denaro, a riconquistare l’affetto della sua famiglia. Ispirato a una storia realmente accaduta, è un viaggio personalissimo a cui Clint invita lo spettatore. Lo fa utilizzando il suo personaggio per raccontare quanto ad un certo punto della propria esistenza gli unici valori sono la famiglia e il rispetto per se stessi. Un veterano della guerra di Corea che vive in un mondo che non esiste più, un uomo frivolo che conosce perfettamente il significato di parole come onore e coraggio, ma anche un uomo in grado di capire come ogni errore vada pagato in prima persona e senza sconto. Senza alcuna spettacolarizzazione e con estrema onesta intellettuale il regista mette in scena un individuo che non è mai riuscito a essere se stesso con la moglie e la figlia perché troppo occupato a sentirsi vivo con altre persone attraverso il suo lavoro.
Sono passati dodici anni da quando Clint si era presentato in prima persona sullo schermo in Gran Torino, da allora aveva sempre lavorato dietro la macchina da presa alla ricerca di un ruolo adatto per tornare a dirigersi. Earl Stone è l’evoluzione naturale di Walt Kowalski, due uomini alla fine di un percorso e con la totalità dell’avvenire dietro le spalle che reagiscono in maniera differente ai cambiamenti della società. Entrambi i personaggi hanno in comune la difficoltà nel piegarsi ad abitudini che poco hanno a che fare con il loro mondo. Sceneggiato in maniera eccellente da quel Nick Schenk che aveva già lavorato con Eastwood in Gran Torino, il film trova il suo punto di forza più grande nella recitazione di Bradley Cooper e dello stesso Eastwood che mette in gioco tutto se stesso mostrando il suo corpo e la sua faccia segnata dal tempo e carica di un’espressività senza eguali. Quei dettagli sulle braccia e quell’incedere cauto della macchina da presa rendono così umano il protagonista da far dimenticare il suo ruolo criminale, il cattivo rapporto con la figlia e l’ex moglie sono appena accennati. Il regista rinuncia al melodramma per abbracciare un realismo, rendendo il protagonista a tratti uno sprovveduto e a tratti l’individuo più assennato dell’intera storia.
Clint Eastwood è uscito dal suo ruolo di artista diventando un vero e proprio punto di riferimento per quegli uomini e quelle donne alla ricerca di un punto d’identificazione. La domanda è sempre la stessa: cosa farebbe Clint? E la risposta è sempre lì, ben chiara nella testa di chi ha solo bisogno la sua figura per disincagliare la propria vita e continuare. Gli individui che ha portato sullo schermo e a cui ha dato la faccia non sono certamente perfetti, attraverso la loro personalità e il loro senso del dovere riescono a uscire da qualsiasi situazione anche a costo di doverla vivere a pieno, nella vita spesso si ha solo bisogno di questo.
THE MULE (USA 2018, Drammatico, 126′). Regia di Clint Eastwood. Con Clint Eastwood, Bradley Cooper, Laurence Fishburne, Michael Peña, Dianne Wiest. Warner Bros Italia.
Nasce a Milano qualche anno fa. Usa la scrittura come antidoto alla sua misantropia, con risultati alterni. Ama l’onestà intellettuale sopra ogni altra cosa, anche se non sempre riesce a praticarla.