Abbiamo assistito alla conferenza stampa del film “Un posto sicuro” di Francesco Ghiaccio, in sala a partire dal 3 dicembre con Parthénos. Oltre al regista, erano presenti alla Casa del Cinema di Roma gli interpreti Marco d’Amore (anche co-sceneggiatore) e Giorgio Colangeli. Il film è la storia di un padre e un figlio da tempo lontani, sullo sfondo dell’Eternit di Casale Monferrato.
Perché avete sentito il bisogno di raccontare la vicenda dell’Eternit? Quale è stato il tipo di preparazione?
Francesco Ghiaccio: sono cresciuto a pochi chilometri da Casale Monferrato, eppure della vicenda sapevo molto poco all’inizio. Sapevo che c’era stata la fabbrica ,che chiuse nell’ottantasei, quindi io ero molto piccolo. Avevo una vaga memoria e nessuno ne parlava più. Solo dopo ho scoperto che c’era un piccolo gruppo di cittadini di Casale in lotta da trent’anni, che sono poi le persone che compaiono in alcune scene del film. Tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 la grande attenzione mediatica del processo ha portato a galla tutto. Da allora io e Marco abbiamo iniziato una ricerca, intervistando e incontrando centinaia di persone. La prima sensazione che si ha dei cittadini di Casale Monfettaro è che si tratta di cittadini con la schiena dritti, che non hanno mai abbassato la testa a covare rabbia, ma hanno fatto gruppo e percorso insieme la strada del processo.
Marco D’Amore: eravamo nel 2003 insieme alla Paolo Grassi di Milano, e capitava che Francesco mi invitasse a casa sua nel fine settimana. Quindi frequento Casale da più di 10 anni. Ho scoperto la storia facendo un percorso a ritroso attraverso i racconti e piano piano ho capito come quanto la vicenda pubblica abbia influito nel privato, così come racconta il film. Nonostante tutto però non è venuta meno la volontà democratica di questa piccola comunità di affermare un diritto, uno sparuto gruppo di operai che ha insegnato al mondo che è possibile fare un processo giusto. Purtroppo la sentenza della cassazione ha poi negato loro giustizia, ma nonostante tutto questa comunità ha fatto da portabandiera per tante realtà analoghe. C’è un equivoco gigantesco tra l’idea di un posto sicuro del lavoro, che riguarda la sfera economica, e il posto sicuro in cui viviamo ogni giorno. Casale ha portato alla luce un’umanità necessaria tra il lavoro e la vita.
Quando avete deciso di voler fare il film?
Francesco Ghiaccio: abbiamo iniziato a condurre la nostra ricerca poco prima della sentenza di primo grado, quindi poco più di due anni fa. Si è trattato solo di una fase di ricerca perché la vicenda è talmente vasta che abbiamo aspettato a lungo prima di trovare il nostro punto di vista, che è poi scaturito nella vicenda di questo trentenne che cerca un senso nella sua vita e lo ritrova proprio attraverso un confronto con il padre.
Quando si racconta una cosa vera così dolorosa bisogna sempre stare attenti alla relazione tra realtà e finzione, come vi siete regolati per trovare un equilibrio tra le due parti?
Francesco Ghiaccio: Questo aspetto è il tema centrale del film. I tre personaggi sono di finzione ma tutto quello che accade loro e alle persone con cui entrano in contatto sono fatti veri, che ci sono stati riportati dai cittadini di Casale. In molti punti del film, le comparse che si vedono sono persone che hanno realmente vissuto le scene da noi ricreate. La più significativa e difficile da girare è stata quella della rivolta davanti alle scale del comune.
Marco D’Amore: il nostro intento è stato quello di costruire un racconto di finzione intorno a una vicenda realmente accaduta. I nostri personaggi sono in questo senso la somma delle biografie delle persone che abbiamo incontrato, la realtà ha vissuto con noi quotidianamente. Un episodio dal set; stavamo facendo un sopralluogo il giorno prima di girare la scena nel quartiere in cui sorgeva la fabbrica. Io e Francesco camminavamo con Nicola Morano, uno dei primi operai a far partire la rivolta in fabbrica. Camminando per quei luoghi Nicola spontaneamente ha iniziato a raccontare, così io e Francesco abbiamo iniziato a prendere appunti. Il tutto è diventato il monologo di Giorgio. Ci siamo mossi sempre così, nutrendoci della realtà con grande rispetto.
Giorgio Colangeli ci racconti dal tuo punto di vista questo film?
Giorgio Colangeli: Per me il punto d’ingresso nel film è stato proprio questo monologo, nel quale trapela un senso di orgoglio nonostante tutto, quello legato a un’ epoca italiana, quella industriale conclusasi con una rapidità sconcertante, ma che resta un pezzo della nostra storia. Dopo la lettura della sceneggiatura ero sconcertato perché era diversa da ciò che si legge in giro, e un po’ anche scritta male. Ma una volta che mi sono fatto coinvolgere nella storia, mi sono ricreduto. Il difetto mi era sembrato quello della presenza atipica del teatro proprio come un vero e proprio personaggio nel cinema. Qui il teatro diventa la metafora di quella vita diversa che potremmo fare se oltre a preoccuparci di sopravvivere trovassimo anche il tempo di capire realmente ciò che ci succede, non a caso la presa di coscienza dei protagonisti avviene proprio attraverso il teatro.
La presenza del teatro nel film..
Francesco Ghiaccio: Il teatro è condivisione, è quello di cui ha bisogno il protagonista ed è quello che ha fatto la città di Casale da sempre. Il teatro del resto è un modo per esorcizzare il dolore.
Marco D’Amore: In più il teatro è un sogno che Eduardo (il nome non è scelto a caso) riflette sul figlio, e che Luca invece butta via. La riconciliazione tra padre e figlio significa proprio riappropriarsi di quel sogno.
Alcune scene del film, quelle in teatro specialmente, danno l’impressione di andare al di là della realtà, su un versante quasi onirico…
Francesco Ghiaccio: si, questo aspetto duplice di realtà e finzione è una cosa che abbiamo cercato sin dall’inizio. Essendo una storia così legata alla realtà, volevamo che l’esperienza dello spettatore fosse un modo per andare oltre i fatti che è possibile leggere sui giornali andando a fondo nelle loro anime per far sentire dei personaggi vicini, entrare nel loro sogno.
Marco D’Amore: del resto questa è proprio la natura del nostro lavoro. Come diceva Shakespeare, l’attore è fatto della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Quando scriviamo, il nostro intento non è mai educativo ne esplicativo, noi piuttosto sogniamo e secondo me la cosa bella dei sogni è che quando ti svegli non ti ricordi tanto ma ti resta una traccia che va in profondità.
Nel film sono presenti delle immagini di repertorio. Avete deciso da subito l’inserimento del materiale?
Francesco Ghiaccio: si, avevamo deciso da subito, ma chiedendoci a lungo quali scegliere. Era importante raccontare anche agli occhi cosa succedeva nella fabbrica. Mostrare gli operai a lavoro con un atteggiamento quasi allegro davanti alla macchina da presa.
Il film esce il 3 dicembre distribuito inizialmente in 60 copie. Ci sarà un anteprima a Casale..
Francesco Ghiaccio: abbiamo sentito l’esigenza di restituire alla città di Casale il regalo che ci ha fatto durante le riprese. La città ci ha accolto vedendoci come testimoni della loro vicenda, come se dopo l’annullamento della Cassazione, il loro riscatto passasse attraverso di noi.