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Più desidero scivolare nell’oblio, meno ci riesco. La vita e la luce me lo impediscono”. Rachel è una ragazza sola, ordinaria ma problematica, che vede la vita scivolarle via come quando si osserva il paesaggio attraverso il finestrino di un treno in corsa. Una scia fittizia di case dai contorni confusi, che diventano per lei l’unico spiraglio di luce dall’oblio che è la sua vita reale.
L’esistenza di questa donna è caratterizzata dal soffocante e costante vuoto. Un matrimonio finito, un lavoro che non la soddisfa, una città che odia. L’unico conforto che trova è viaggiare su quel treno, che ogni giorno alle 8.04 parte dalla stazione, per portarla lì ad osservare la vita perfetta che ha sempre desiderato passarle davanti. “E’ un sollievo esser di nuovo sul treno delle 8.04. Preferisco stare qui, a guardare le case che sfilano una dietro l’altra, più che in qualsiasi altro posto”.
Con il passare dei giorni, accanto ai pendolari che come lei affrontano il viaggio dalla periferia di Londra verso la città, Rachel costruisce un rapporto particolare con una coppia. Ogni giorno, al semaforo, il treno si ferma per qualche minuto e Rachel scruta dal finestrino la quotidianità di una coppia, un uomo e una donna, che inconsapevoli svolgono la loro vita sotto gli occhi fugaci dei passeggeri del treno e soprattutto sotto lo sguardo attento di Rachel. Lei stessa troverà conforto in questo, costruendo intorno a loro e nella sua mente la storia di una vita perfetta di una coppia felice. “Oggi non ci sono, ma posso immaginarli”. Purtroppo però la realtà irrompe nella vita in declino della donna. Ormai serva dell’alcool, ossessionata dal ex marito che l’ha lasciata per un’altra donna, la donna si ritrova a vagare per le strade della periferia londinese per poi tornare sempre sul treno che la rassicura, fino a quando vede qualcosa, qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere e che cambierà il suo mondo, quello immaginario, ma soprattutto quello reale.
Questo romanzo, che in poco tempo è diventato il caso letterario dell’anno, per la sua ascesa repentina nel mondo editoriale, è il primo thriller scritto dalla scrittrice e giornalista inglese Paula Hawkins , pubblicato in Italia dalla casa editrice Piemme e tradotto da Barbara Portieri.
Fin dalle prima pagine del libro, ci troviamo di fronte al disagio che avvolge la vita della protagonista. Una donna che sembra aver perso ogni scopo, che va avanti e indietro con il treno, accompagnata solo dal rumore dello sferragliare del vagone sui binari e da una lattina di gin tonic. Esausta per una vita che non la soddisfa, attraverso il suo sguardo il lettore riesce a scorgere immediatamente quello che passa di fronte gli occhi della donna. Una casa, una coppia, una vita. Ma le debolezze del personaggio sono ancora più sottolineate dalla sua incapacità di trovare un nuovo lavoro, di andar via dalla casa dell’amica che la ospita e dal rifugio che ha creato nella sua mente, dove anche grazie all’alcol, evade dalla realtà per immaginarsene una migliore. Una vita che la ammalia con la sua normalità. Una normalità che viene sconvolta da quello che per Rachel è impensabile, ma che si rivela essere la verità che la risveglierà finalmente dal torpore.
La scrittura della Hawkins è diretta e molto scorrevole. Non troviamo nessun ostacolo stilistico e di comprensione, in quanto il lettore è messo subito di fronte alla realtà, con parole semplici. La struttura però non è altrettanto lineare. La scrittrice infatti decide di far raccontare la storia direttamente ai personaggi, e lo fa alternando tre punti di vista differenti (quello di Rachel, quello di Megan e quello di Anna). Questo stratagemma, che potrebbe aver il merito di portare alla descrizione e allo svolgimento della scena un apporto maggiore di completezza, in realtà spesso cade nella ripetizione, che quindi risulta superficiale e immotivata.
Per quanto riguarda i personaggi, è chiaro che la Hawins abbia scelto di soffermarsi maggiormente nella delineazione del carattere della protagonista. La sua psicologia controversa, il suo rapporto con l’alcol, con Tom (l’ex-marito), con la madre, con Cathy (l’amica), con Anna (la nuova moglie di Tom), ma soprattutto il suo rapporto con loro, Jess e Jason (i nomi che Rachel attribuisce ai due inquilini che “spia” dal finestrino del treno). Rachel li osserva, è ossessionata da loro, li cerca, li scruta, sente la loro mancanza quando non li vede. Loro sono il suo futuro immaginario. Loro sono tutto quello che desidererebbe essere ed avere. La Hawins introduce quindi con discrezione la storia parallela, iniziata un anno prima, di Megan, il vero nome di Jess. Ed è da qui che il lettore, inizia disilludersi subito dalla fantasia creata da Rachel. Il lettore sa, che Rachel sta solo sognando. A tratti si è quasi spinti a gridarle nelle orecchie “Rachel, ti stai sbagliando!!”. Ma ad accrescere questo stato di consapevolezza nel lettore c’è anche l’atteggiamento remissivo e debole delle protagonista, che si lascia andare, che rinuncia a vivere, lasciandosi abbandonare sbronza e affogata nei resti di una serata che non ricorderà il giorno dopo.
Sono principalmente queste le sensazioni trasmesse. Ma la domanda nasce spontanea. Dov’è il pathos che tutti si aspettano da un thriller? Dov’è l’angoscia? Dov’è l’inquietudine? Dove sono gli elementi che fanno di un thriller, un buon thriller? Il treno c’è, è una via di fuga dalla triste vita quotidiana della protagonista, ma la storia che vediamo attraverso il finestrino non è poi così inquietante da farci sedere lato corridoio la prossima volta che saliremo su un vagone.
Il libro è sicuramente un piacevole passatempo estivo da tenere sotto l’ombrellone, ma il caso letterario che gli ruota intorno è decisamente spropositato rispetto alle realistiche potenzialità del romanzo. Hollywood si è già impegnata per estrapolarne un film. Pare che la Dreamworks abbia comprato i diritti, che la protagonista possa essere Emily Blunt e il regista Tate Taylor (The Help). Che la storia possa trovare degna risoluzione sul grande schermo? Ai posteri l’ardua sentenza.

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Di Suhail Ferrara

Palermitana di origini asiatiche. Amore per il cinema, le istantanee e le storie. Scrive per dar voce alle sue passioni e vivere la vita è la sua aspirazione più grande. “Carpe diem” il suo motto.