La scrittrice francese si racconta a cuore aperto partendo dalla tragedia nel Mediterraneo dell’ottobre 2013 nei pressi dell’isola legata al Gattopardo 

NoteVerticali.it_Lampedusa_Maylis-De-KerangalCome un nome può accomunare il cinema e la cronaca, la fantasia e la tragedia, il passato e il presente? La scrittrice francese Maylis de Kerangal ci accompagna a scoprirlo nel suo ultimo libro, una sorta di diario in presa diretta dei pensieri che le attraversano la mente nel corso della notte. Ed è una notte particolare, quella del 3 ottobre 2013, quando l’autrice, sfogliando distrattamente un giornale in casa, apprende dalla radio che un barcone proveniente dalla Libia è affondato a due chilometri dalla costa di Lampedusa. Oltre 300 i morti che in mare cercavano la libertà e hanno trovato invece la tragica fine della propria esistenza.

La notizia è scioccante, e non può non scatenare emozioni e reazioni molto forti (ricordiamone una su tutte, quella di Papa Francesco). Ma oltre al dolore e alla rabbia per una strage – nè la prima, nè l’ultima, purtroppo – che avrebbe potuto essere evitata, nella mente della scrittrice francese si fanno strada immagini che riportano a un altro tempo. Sono la proiezione di un passato glorioso, legato al nome di Lampedusa, e incarnato dalla vicenda di don Fabrizio, principe di Salina, descritto mirabilmente da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo capolavoro “Il Gattopardo“, portato in scena nella splendida trasposizione cinematografica firmata da Luchino Visconti nel 1963. Il principe, interpretato sul grande schermo dal grandissimo Burt Lancaster, incarna la decadenza della nobiltà aristocratica siciliana, destinata a scomparire per far posto all’arrivismo della nuova classe borghese incarnata dal volto furbo di don Calogero. La scena del loro incontro cinematografico, quasi un passaggio di testimone da un’epoca a un’altra, lascia il posto nell’immaginazione della scrittrice alla scena di un altro film, sempre interpretato da Lancaster, ma stavolta ambientato negli Usa. Si tratta di The swimmer (Un uomo a nudo), pellicola del 1968 diretta da Frank Perry e tratta da un racconto di John Cheever. Qui Lancaster interpreta Ned Merrill, un impresario teatrale che decide di tornare a casa bagnandosi e nuotando nelle piscine delle ville che incontrerà lungo il cammino. Una scelta bizzarra, che testimonia in modo allegorico l’alienazione del protagonista, e che nel film ci mostra un altro volto di Lancaster, l’altra faccia di una medaglia, quella di una decadenza ormai compiuta e iniziata nella sua declinazione aristocratica, al palazzo dei Salina. Se lì il protagonista era un principe, qui è un individuo errante, che confida nell’ospitalità di chi lo riceve e accoglie, non senza superficialità, anzi quasi con compassione.

Maylis de KerangalUn errante, quindi, che cerca riscatto nell’acqua. A ben vedere, proprio come i migranti che scommettono la propria esistenza affidandola alle acque del Mediterraneo, in cerca di una rinascita che non sempre, purtroppo, arriverà. Le immagini delle due storie, quella del principe e quella del nuotatore, si accavallano quindi nella mente della scrittrice francese, che condivide con il lettore il ricordo delle ultime proiezioni a cui ha assistito. E l’aria del Gattopardo viscontiano colpisce più di ogni altra cosa per le sensazioni a cui è indissolubilmente legata, per quel barocco fatiscente, testimone di un’epoca gloriosa che cede il passo alla modernità che ha il sorriso sensuale di Angelica, la figlia di don Calogero, che con la sua bellezza e freschezza di vita conquisterà il giovane Tancredi, il nipote prediletto di don Fabrizio, sancendo quel passaggio di testimone prima citato. Emblematico in questo senso è il ballo tra le due figure più rappresentative della storia, appunto don Fabrizio e Angelica, quel valzer che segna il canto del cigno della vecchia aristocrazia siciliana, e apre invece la strada al successo della giovane e vivace borghesia locale. E’ quella storia, autobiografica per l’autore, che nel romanzo racconta l’epopea della propria famiglia, la chiave di volta di tutto. Quella stessa chiave che attraversa un luogo, Lampedusa appunto, dove si incrociano i destini di chi mette in gioco la propria esistenza: e c’è chi soccombe e chi invece riesce a resistere e vincere. Un destino appeso a un filo, come descritto in modo tristemente realistico dai quadri di Giovanni Iudice:

NoteVerticali.it_Artisti di Sicilia_Giovanni Iudice_UmanitàE da Salina a Stromboli, alla Sicilia, le isole allora acquistano una simbologia tutta particolare e diventano l’emblema che decide il destino di una vita umana. Disseminate sul mare, punti minuscoli e quasi impercettibili, le isole sono spazi chiari dei quali è facile distinguere i contorni, anzi imporli, come scrive de Kerangal, creando subito un dentro e un fuori. A pensarci bene, le isole sono come le idee. Deserte, affascinanti. E, da sempre, devono essere garanzia di approdo per tutti: dall’eroe omerico che le incontra nelle proprie peripezie lontano dalla sua Itaca, al crocierista seriale che le incrocia invece per divertirsi, al migrante profugo che tenta infine di raggiungerle per salvarsi. Purtroppo, lo sappiamo, la storia ci insegna che così non è.

Lampedusa” non è un volume come gli altri. Non è un romanzo, perché parte dalla cronaca. Tuttavia, emoziona e raccoglie riflessioni a cuore aperto in ottanta pagine che scorrono via lasciando impresso nel cuore e nella mente il dolore per una tragedia di proporzioni disumane, che sta trasformando il Mediterraneo da sorgente di vita a cimitero di morte, come descritto con terribile realismo dall’attualità che stiamo vivendo.

Maylis de Kerangal, “LAMPEDUSA“, 80 pagg., Feltrinelli 2016.

 

Di Luigi Caputo

Idealista e visionario, ama l'arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia...