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Diego De Silva torna al romanzo con “Mia suocera beve”

A prima vista, Vincenzo Malinconico, protagonista dell’universo letterario immaginato da Diego De Silva, sembrerebbe il classico “avvocato delle cause perse”, che vivacchia tra studio e aule di tribunali, tirando a campare in una Napoli contemporanea invasa dal traffico e attraversata da una stanchezza che, tra camorra, disoccupazione e monnezza, ha cancellato da decenni il sogno di un paradiso senza tempo. In realtà, c’è molto di più, perché Vincenzo, oltre che avvocato, è anzitutto filosofo, uno di quei “liberi pensatori” che erogano pensieri in libertà colpendo anzitutto se stessi e il proprio ego, che viene costantemente demolito attimo dopo attimo a colpi di autoironia involontaria.

Il lettore che conosce De Silva, scrittore consacrato da “Certi bambini” nel 2001 e nel 2007 autore del  sorprendente “Non avevo capito niente”, già sa cosa si aspetta. Chi invece lo incontra per la prima volta, molto probabilmente ne resta frastornato, spiazzato da una struttura narrativa apparentemente illineare e discontinua, dove gli episodi della quotidianità del protagonista sono un pretesto per le sue dissertazioni in libertà su vita, famiglia, amore, sesso e rapporti personali in genere. Ma con un personaggio come Malinconico, avvocato forse non per scelta, ma senz’altro filosofo per vocazione, non potrebbe essere altrimenti. E così, nel libro assistiamo a un episodio, narrato per capitoli in modo frastagliato, a metà tra il reality e la cronaca nera, quando un supermercato cittadino, in una mattinata apparentemente tranquilla, si trasforma in un set da poliziottesco per colpa o per merito di un ingegnere, Romolo Sesti Orfeo, che decide improvvisamente di incarnare i panni di Charles Bronson per farsi giustizia da solo in diretta tv, sotto lo sguardo di Malinconico, che era entrato nel supermercato alla ricerca disperata di un barattolo “Fior di Pesto” Buitoni.

E che dire invece dei rapporti che legano Vincenzo alla compagna e collega Alessandra Persiano, alla ex moglie Nives, alle figlie e alla suocera Assunta detta Ass? Anzi, è proprio quest’ultima che riscuote maggiore simpatia presso il protagonista e i lettori, perché mette in pratica l’adagio “pane al pane, vino al vino”, cioè dice le cose con chiarezza e senza giri di parole. E quando poi i figli confessano a Vincenzo che la nonna è malata di cancro, lui pensa bene di andare a farle visita portandole una bottiglia di Jack Daniel’s: un regalo assolutamente originale, che però l’anziana signora mostra di gradire particolarmente.

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In sostanza, Vincenzo Malinconico è un antieroe, un personaggio che non fa nulla per essere attore principale sul tragicomico palcoscenico dell’esistenza umana, dove anzi, se potesse, si avvarrebbe per default della facoltà di non rispondere. Non ha la battuta pronta come chi è nato vincente, e non riesce a reagire al volo alle provocazioni della vita. Che lo prende alle spalle e lo porta in un limbo di tristezza, perché “è chiaro che la tristezza esiste, e viene quando vuole, un po’ come gli starnuti. Solo che non puoi metterti un maglione addosso per fartela passare”.

Ogni tanto, però, per rivalsa, scrive. Perché nella vita vera non esiste il Ctrl-z, non si può cancellare, tornare indietro, ripensare a quello che si è detto, ed eventualmente correggerlo: “allora scrivo. Per prendermi la rivincita sulle parole. Per raccontare come sarebbe andata se avessi scelto quelle giuste.

Diego De Silva – Mia suocera beve. Vita, affetti e cause perse di Vincenzo Malinconico, filosofo involontario. Einaudi 2010, 333 pp.- 18 euro

Luigi Caputo
Author: Luigi Caputo

Idealista e visionario, forse un pazzo, forse un poeta, ama l'arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia...

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