C’era un’altra Italia, tempo fa. Un’Italia che guardava ai sogni di ieri come a incubi di una stagione terribile, con lutti e dolore, e cercava nel presente la speranza di giorni in cui l’imperativo era quello di andare avanti per un’altra stagione, finalmente nuova, fatta di conquiste e di abbandoni. Le prime si concretizzavano nell’industrializzazione sempre più spinta delle città, i secondi si celebravano nella sacralità di un rito laico, quello del commiato dato alle comunità rurali, a quelle realtà sociali che, restando ancorate a un passato ormai sempre più lontano, sembravano distanti anni luce da quel futuro che prometteva il benessere alla fredda luce dei neon e al fumo grigio delle fabbriche.
“Ragazzo italiano”, esordio letterario di Gian Arturo Ferrari – 76 anni, che esordiente certo non è, avendo avuto un passato da direttore generale in Mondadori – racconta la vita di Ninni, bambino nell’immediato dopoguerra, diviso tra la vita ‘feriale’ nella provincia lombarda pre-industrializzata di Zanegrate, e quella ‘festiva’ trascorsa nella campagna emiliana di Querciano, due anime di una stessa Italia che a cavallo tra la fine degli anni ‘40 e l’inizio degli anni ‘50 si stava ancora leccando le ferite della terribile ecatombe bellica della Seconda Guerra Mondiale. “Ragazzo italiano” è quindi a tutti gli effetti un romanzo di formazione, che narra la storia di un bambino che diventa adulto nella fase di crescita sociale ed economica dell’Italia, attraversando un periodo sicuramente unico e irripetibile per il suo paese.
Lo stile di Ferrari è semplice e schietto, e si pone con profondo rispetto davanti ai personaggi che accompagnano l’evoluzione del protagonista. Quelli del cuore sono dipinti con occhio benevolo, quasi paternalistico. La nonna del protagonista, per esempio, ricorda la Bologna gucciniana, quella “ricca signora che fu contadina, che sa che l’odor di miseria da mandare giù è cosa seria, e vuole sentirsi sicura con quello che ha addosso, perchè sa la paura”. I contadini, invece, hanno un buon odore di fieno e lo sguardo servile e riverente da cui emerge la fermezza della loro dignità, che più di ogni altra cosa colpisce il protagonista.
ll romanzo si divide in tre parti: “Il bambino”, “Il ragazzino” e “Il ragazzo”, che caratterizzano ovviamente la crescita personale del protagonista. Vediamo il passaggio alla Milano del progresso e dell’industrializzazione più spinta, dove i caloriferi e l’acqua calda in casa rappresentano una vera e propria conquista. Ninni ci arriva in quarta elementare, dove incontra nuovi compagni di classe e un nuovo maestro, Saverio Poli, portatore di idee di uguaglianza sociale non scontate in quel periodo , che lo aiuta a ragionare in modo più maturo, educando lui e i suoi compagni al rispetto verso tutti, ricchi e poveri, più e meno fortunati. Il capoluogo lombardo accoglie Ninni con spirito da matrigna, e gli pone all’attenzione sin da subito le contraddizioni che custodisce e che a ben vedere ha portato avanti fino ad oggi: da un lato fabbriche, auto, luci, dall’altro un sottobosco di miseria rappresentato dalle baracche dei tanti costretti a vivere in mezzo al fango e tra i topi, ma mai rinunciatari al proprio desiderio di vita migliore: da contadini a manovali, anche se diventarlo poteva costare un sacrificio immenso. La Milano riformista accoglieva tutti, pur non riservando a tutti lo stesso trattamento.
Il passaggio del protagonista alla fase adolescenziale è raccontato nell’ultima parte del romanzo, dove vediamo Ninni (diventato Piero) ormai liceale alle prese anzitutto con le prime questioni di cuore, in quell’interscambio florido e sorprendente di universi che rappresenta il dialogo tra sessi a quell’età. Donatella, la sua prima vera conquista, con un rapporto fragilissimo che non durò che pochi giorni. E poi l’avvento della motorizzazione, in quel “venticello delle prosperità” che accomunava la sua alle tante famiglie borghesi che avrebbero trasformato la Milano operaia in Milano grassa e mai sazia di esserlo, fino all’estasi di un bacio al tramonto, che celebra la maturità del protagonista a Delfi, nella Grecia studiata al Classico e finalmente vissuta in vacanza.
Gian Arturo Ferrari dipinge il ritratto emozionante e sincero di un’Italia che non c’è più, e che non dovremmo mai dimenticare. Un’Italia dove la scuola ha un ruolo sociale fondamentale per la crescita di una nazione, e dove il futuro ha la radiosità di chi si affaccia alla vita con gli occhi della speranza. Il romanzo è tra i finalisti del Premio Strega 2020
Gian Arturo Ferrari, “Ragazzo italiano”, Feltrinelli, 2020.
Idealista e visionario, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…