Daniela Piras, autrice sassarese, ha scritto un libro che ha fatto discutere: Un modo semplice, la storia d’amore (e non solo) tra due studenti universitari. Un romanzo breve che inizia come un idillio e si evolve, scavando nel profondo della violenza di genere e dello stalking.
Al di là dell’evidente legame con la contemporaneità – parlare di violenza di genere e di legami complessi e tossici è oggi più che mai fondamentale – vi è, nel romanzo, la voglia di scendere nelle profondità di un rapporto tutt’altro che semplice o etichettabile. L’autrice è convinta che dagli episodi negativi dell’esistenza sia possibile imparare qualcosa. Tuttavia, questo non può accadere semplicemente “condannando”: i fenomeni come la violenza di genere sono anzitutto episodi umani, storie che vanno studiate e sviscerate senza pregiudizi.
NoteVerticali ha intervistato Daniela Piras sul suo romanzo Un modo semplice, (pubblicato da Talos Edizioni), sulla sua esperienza letteraria e sulla necessità di recuperare la nostra empatia.
Domanda d’obbligo: quando hai iniziato a scrivere?
Qui devo stare attenta a non scadere nelle banalità! Molte dicono “ho iniziato da bambina”. È anche la mia storia: ho iniziato a scrivere storie di fantasia in seconda elementare. La maestra ci faceva scegliere se scrivere un tema libero o se inventare una storia. Io scrivevo pagine e pagine di storie – c’erano tanti personaggi, bambini, animali… – che la bidella si fotocopiava perché, secondo lei, sarei diventata una scrittrice. A lei, che purtroppo è venuta a mancare tempo fa, ho dedicato la mia prima raccolta di racconti e poesie Parole sugli alberi. Crescendo, ho scoperto il piacere della lettura. Non ho scritto di continuo, ho alternato momenti in cui leggevo tanto ad esperimenti di scrittura. Verso i sedici anni ho iniziato a cimentarmi con le poesie. E poi con i racconti. Provavo a immaginare cosa potesse esserci dietro un comportamento, dietro un fatto che accadeva. Immaginavo i retroscena. Queste sono state le mie prime storie.
Flavia e Manuel sono giovani e credono di poter condividere la loro vita. Come ce li racconteresti in poche parole?
I due protagonisti sono gli stereotipi dei “giovani di una certa età”, per così dire: dai venti ai venticinque anni. Flavia è un ragazza molto sensibile, dolce e… innamorata della vita. Ha le illusioni comuni a ogni ragazza della sua età. Sogna il grande amore, ha tante speranze e fiducia nel prossimo. Manuel è il classico bravo ragazzo, studioso e appassionato di musica. Crede nelle sue potenzialità e sogna di poter arrivare a realizzarsi, con un buon titolo di studio e una brillante carriera. La vita però lo mette di fronte a delle prove che mineranno nel profondo le sue sicurezze. Volevo raccontare di due studenti fuorisede che pensano di avere il mondo in mano, vivendo in una cittadina, Urbino, “a misura di universitario”, dove tutto è programmato e scandito dagli esami. Credono di avere già tracciato il loro futuro, salvo poi rendersi conto che la vita è imprevedibile.
Il romanzo è un doppio monologo interiore. Come hai fatto a metterti nei panni di un uomo stalker?
Ho scritto di ciò che so per la parte relativa a Flavia, prendendo spunto da sensazioni provate in passato, ma senza voler scrivere una storia autobiografica. Ci sono voluti vent’anni per mettermi dalla parte dell’altra persona, ovvero di colui che ha provocato disagio attraverso lo stalking. Ho cercato di trovare non una giustificazione, ma una “motivazione interna” che potesse dare un senso all’accaduto: cosa porta una persona a cambiare atteggiamento fino ad arrivare a non riconoscersi più nelle proprie azioni? È una cosa su cui ho riflettuto parecchio, ho anche studiato l’argomento. A volte ci si chiede: come fa una persona a non rendersi conto di chi sta frequentando? Della pericolosità della persona che ha accanto? In tutti i fatti di cronaca viene fuori questa cosa. Ho capito che le persone possono cambiare: non sempre dal peggio al meglio, spesso cambiano al contrario: dal meglio al peggio. Ho messo insieme cose che mi sono capitate in contesti diversi e con persone diverse, e ho capito che le persone possono cambiare per migliaia di motivi, poiché l’essere umano è per sua natura complesso e instabile. Tra i tanti motivi possono esserci un lutto, una tragedia familiare, una delusione professionale… Un po’ di tutto. Non è la prima volta che un mio protagonista è un uomo. Nel mio romanzo precedente, Leo, racconto le avventure di un ritirato sociale. Anche diversi miei racconti sono scritti da un punto di vista maschile.
Un modo semplice ha generato anche delle polemiche. Secondo alcuni, ti sei messa “troppo” nei panni dell’aguzzino.
Ho fatto un azzardo, e di questo ero cosciente. Ho provato a dare voce a chi, di solito, viene semplicemente condannato, senza diritto d’appello, dall’opinione pubblica. Ma tante persone manifestano aggressività e violenza latente. Credo che determinati problemi possano essere tenuti sotto controllo con le adeguate terapie. Ci sono persone che hanno commesso cose orrende. Penso a un ragazzo che ha ucciso la madre a sedici anni, ha fatto la galera, è uscito, ha conosciuto una donna e infine è diventato padre. Se questa persona fosse stata classificata come “assassino” per tutta la vita non avrebbe potuto avere un futuro. Senza arrivare a parlare di omicidi, però, ho riflettuto sul fatto che tutti abbiamo una zona d’ombra. Tutti abbiamo fatto qualcosa che ha deluso ancor prima noi stessi e che non siamo poi così contenti di raccontare agli altri. Abbiamo un’immagine di noi che vogliamo tutelare e spesso scegliamo di non svelare tutto di noi, ma solo la parte migliore. Un esempio più leggero? Una persona che ha una relazione stabile, che convive, potrebbe raccontare di aver tradito i propri partner passati.
In sintesi: ci sono persone che fanno determinate cose in momenti della loro vita, non ne vanno fieri, ma non è giusto classificarle in eterno per quell’errore.
Potremmo dire che il tuo romanzo è un po’… politicamente scorretto?
Dipende, se per “politicamente corretto” s’intende persino evitare alcuni argomenti. Ma attraverso la narrativa si può dare libero sfogo alla propria fantasia, senza doversi censurare in vista di un eventuale occhio critico di un lettore con evidente miopia sociale. In realtà credo che in un romanzo si possa parlare di tutto. Lo scopo della lettura è proprio quello di entrare in un altrove a noi sconosciuto. Altrimenti si resta sempre ancorati alla propria realtà e alle proprie convinzioni. E non è giusto, non è corretto avere un solo punto di vista. Perché non è “sempre così”. Non è tutto bianco o nero. Non mi piacciono le formule assodate che non si possono mettere in discussione. Secondo me ogni situazione è a sé. Il finale del romanzo dal punto di vista del protagonista e i pensieri di Manuel vanno proprio in questa direzione: sono tutti bravi a condannarlo, ma quante volte hanno pensato di fare quello che ha fatto lui? O ci sono andati pericolosamente vicini? E loro sono i primi, non a caso, a scagliare la pietra.

Cosa ti ha spinta ad affrontare una storia così delicata anche dall’altro punto di vista?
Esiste un pesante stigma sulle persone che hanno qualche problema psicologico o qualche disturbo mentale. Di solito vengono lasciati ai margini, colpevoli del loro male ed etichettati come coloro che non potranno mai avere una persona al loro fianco che li ami, ma degni soltanto di qualcuno che li compatisca e li aiuti a non stare troppo male. È una cosa molto triste. Siamo tutte persone fragili. Secondo me dipende anche dal momento della vita che stiamo affrontando. Per un periodo ho frequentato un’amica che aveva palesi problemi. A un certo punto ho ceduto, dopo aver provato ad aiutarla per molto tempo. Capita di abbandonare la presa, quando si capisce di non essere in grado, di non avere gli strumenti adatti. Molti mi consigliavano di lasciarla perdere, perché i suoi problemi sarebbero potuti diventare anche i miei. Ma se tutti facessimo così… queste persone che fine farebbero?
Quali sono i tuoi progetti futuri? Su cosa stai lavorando in questo periodo?
Ho in mente una storia molto particolare che parla di una relazione sentimentale caratterizzata da comportamenti di stampo narcisistico. Non sarà una storia di vittime e carnefici, però. È un’idea ambiziosa, su cui sto ancora lavorando, cercando di acquisire il maggior numero di informazioni riguardo il tema. L’argomento è molto complesso e difficile da scandagliare e da trattare senza correre il rischio di banalizzarlo. Ad ogni modo, più passa il tempo e più l’idea iniziale si trasforma; per ora ho solo una traccia e poche pagine abbozzate. Dopo l’estate, invece, vedrà la luce una raccolta di racconti, composta sia da inediti che da scritti selezionati per pubblicazioni in antologie nel corso degli ultimi anni. Non hanno un tema comune, si tratta di una miscellanea di ciò che è il caos della vita: in effetti il collante potrebbe essere proprio questo.