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Tra l’euforia dei fan in cerca di autografi e star scatenate davanti ai riflettori (Ralph Fiennes – foto – che balla sfrenatamente al photocall è a dir poco spettacolare) il Festival del cinema di Venezia entra nel pieno della sua seconda settimana. Nel weekend appena trascorso è stata la volta dei giovani attori hollywoodiani, Kristen Stewart e Nicholas Hoult, protagonisti in “Equals” di Drake Doremus. Un amore contrastato in un futuro distopico, ed è subito qualcosa di già visto. La critica lo boccia ma ne salva la sceneggiatura firmata Nathan Parke (“Moon”).

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Il grande evento del sabato è stato l’attesissimo “The Danish Girl” di Tom Hooper, film sul primo transgender della storia interpretato dal premio Oscar Eddie Redmayne (foto). Nonostante una buona accoglienza dalla stampa e dal pubblico e gli apprezzamenti all’attrice Alicia Vikander, alcuni ritraggono il film come l’ennesima trovata hollywoodiana, in cui la realtà dei fatti viene sacrificata in una storia dalla netta strategia commerciale.
Spostandoci nella categoria Orizzonti la grande sorpresa arriva dall’opera prima del regista Brady Corbet, che con “The Childhood of a Leader” ritrae lucidamente la genesi infantile della tirannia adulta. Dopo “Amy” presentato a Cannes, il Festival veneziano replica nella categoria documentario con un altro tributo a una giovane rockstar prematuramente scomparsa, Janis Joplin, icona leggendaria della musica degli anni Sessanta con “Janis” di Amy Berger.
Giudizi discordanti per i tre film italiani in concorso presentati fino ad oggi: “L’attesa” di Piero Messina, “A Bigger Splash” di Luca Guadagnino e “Sangue del mio Sangue” di Marco Bellocchio (foto). Apprezzato a livello estetico, come degno erede di Sorrentino (di cui è stato aiuto regista), il giovane Messina conquista la platea ma divide la critica. Guadagnino, dal canto suo, riceve più fischi che applausi, ma non si scoraggia grazie al consenso di una stampa internazionale che lo difende dai buu in platea. Per la stampa italiana non basta il cast stellare, formato da Tilda Swinton, Ralph Fiennes e Dakota Johnson (“50 sfumature di grigio”), a fare di “A Bigger Splash” un buon film. Allo stesso modo, il giudizio della critica non si lascia abbindolare dal nome di Marco Bellocchio per un film come “Sangue del mio sangue”. L’accoglienza è piuttosto tiepida e la pellicola non rende fede al ruolo indiscusso di un maestro del cinema italiano. L’aspetto personale prende troppo spesso il sopravvento, la storia ne risente rivelandosi troppo divisa e confusionaria.
Ci pensa “Non essere cattivo” film postumo di Claudio Caligari, a tenere alta la bandiera del buon cinema italiano a Venezia. Portato sul Lido fuori concorso da Valerio Mastandrea, produttore nonché amico di Caligari, la pellicola ha conquistato e emozionato il festival attraverso un racconto duro, di amicizia e amore ai limiti. Fa poi capolino nella sezione Orizzonti un’altra storia italiana. Si tratta di “Pecore in erba”, pellicola satirica a basso budget dell’esordiente Alberto Caviglia. Ancora risate, questa volta in salsa francese arrivano con “L’hermine” di Christian Vincent, film in concorso che ha sorpreso il pubblico proprio grazie alla sua sottile ironia e alla buona interpretazione del protagonista Fabrice Luchini, nei panni di un giudice di provincia.
Con la seconda settimana di festival arriva anche il film scandalo nelle vesti di “Anomalisa” di Charlie Kaufman e Duke Johnson. Realizzato in tecnica stop-motion, il film con protagonisti dei pupazzi parla di sesso e ossessione per interrogarsi più in generale sui rapporti interpersonali. Un esperimento inusuale ma ben riuscito che approda a Venezia da una semplice genesi di crowdfunding.
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