Il più alto atto di umanità possibile in una società divisa in classi“. Era stato questo, secondo la farneticante rivendicazione dei brigatisti Renato Curcio e Alberto Franceschini rinchiusi in gabbia a Torino, l’epilogo tragico del sequestro di Aldo Moro. I 55 giorni della vicenda più inquietante degli anni di piombo, destinata a segnare per sempre la storia politica italiana, rivivono ancora una volta sullo schermo. Esterno Notte, declinata in serie tv dopo l’esordio nei cinema in contemporanea con l’anteprima di Cannes, è un ritorno per il regista Marco Bellocchio, che a distanza di quasi vent’anni decide di riprendere le fila di un discorso che aveva già affrontato (in Buongiorno, Notte del 2003) dal punto di vista di una brigatista (Anna Laura Braghetti) assalita da scrupoli di coscienza. Questa volta l’obiettivo è puntato sui diversi personaggi che ebbero un ruolo in quella tristissima vicenda, iniziata la mattina di giovedì 16 marzo 1978 con l’agguato di via Fani che costò la vita agli agenti di scorta Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Iozzino freddati dai colpi dei brigatisti Valerio Morucci, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari e Franco Bonisoli. Già, personaggi e non persone, almeno per quanto concerne i vertici del governo italiano, ridotti a meri esecutori di una ragion di stato astratta quanto inflessibile e disumana, che di fatto condannò l’allora Presidente della Democrazia Cristiana già al primo giorno di prigionia. Bellocchio è perfettamente calzante nel cogliere sfumature e accenti che ci permettono di guardare alla vicenda con un occhio diverso, quasi surreale. Merito di una sceneggiatura che non si limita a osservare, ma, portando allo spettatore i diversi punti di vista dei protagonisti (Moro, Cossiga, Papa Paolo VI, le BR e Eleonora Moro), condanna e assolve senza alcuna remora l’ipocrisia democristiana che sgretola e trasforma in immobilismo l’opera di buona volontà che avrebbe dovuto riportare a casa Moro, e di attori che, forti di una recitazione incalzante e scevra da inutili orpelli interpretativi, offrono una chiave di lettura diversa e meno romanzata a tutta la vicenda. Il risultato è un prodotto cinematografico di altissima qualità, non sminuito dalla declinazione televisiva, che regala scene memorabili sospese tra l’onirico e il reale: su tutte, quella in cui il Papa immagina Moro portare la croce durante la Via Crucis osservato dagli impotenti e impassibili dirigenti DC.

Così, Fabrizio Gifuni incarna con naturale perfezione il Moro che aveva lo sguardo severo e conciliante al tempo stesso, che gesticolava con insistenza e che da buon padre di famiglia si preoccupava di sincerarsi che il gas fosse chiuso prima di andare a dormire con la stessa cura con cui invitava a stare uniti in nome della responsabilità e cercava di allargare il consenso governativo anche al PCI credendo di fare gli interessi di tutti gli italiani. Ed è ancora altamente credibile nella scena più drammatica della prigionia, quando, davanti al prete che lo stava confessando (che parrebbe esser stato don Antonello Mennini, all’epoca viceparroco presso la chiesa romana di Santa Lucia), dichiara il proprio disprezzo verso gli ex amici di partito e la propria volontà estrema di aggrapparsi con tutto sé stesso a quella vita che qualcuno gli avrebbe ingiustamente e barbaramente tolto di lì a poco. Perfetto e inquietante al tempo stesso è Fausto Russo Alesi, la cui maschera porta il ministro dell’Interno Francesco Cossiga a trasformarsi da temutissimo e inflessibile panzer, il cui nome veniva storpiato con la K e le SS runiche nella manifestazioni studentesche, in soggetto delirante affetto da vitiligine e disturbi bipolari. E’ lui ad immaginare una conclusione positiva della vicenda, in una scena che vede Moro alzarsi dalla Renault 5 parcheggiata in via Cateani e sparire in un’ambulanza che lo porterà in una clinica privata, dove riceverà la visita dei maggiorenti DC, preoccupati di come avrebbero dovuto gestire quell’ingombrante presenza. In questo vediamo una correlazione con Buongiorno, notte (film dal retaggio senz’altro più ideologico, con richiami alla Resistenza e pericolosi paragoni tra i terroristi e i partigiani), dove il sogno della liberazione come fine di un incubo per tutti era affidato alla brigatista Braghetti interpretata da Maya Sansa e dove un Moro (allora interpretato da Roberto Herlitzka) usciva dall’auto e si avviava fischiettando per le vie di Roma. Perfetta è Margherita Buy a calarsi nella dolorosa dignità di Eleonora Moro cercando con tutte le proprie forze di aprire a una trattativa gridando la propria rabbia all’intransigenza dei dirigenti democristiani, ma cercando al tempo stesso di preservare sé stessa e i propri figli dal clamore mediatico. Perfetto, ma senz’altro poco credibile, è un Toni Servillo che giganteggia da par suo interpretando un Papa Paolo VI tuttavia troppo vigoroso rispetto alla gracile infermità del pontefice Montini indebolito dalla malattia che lo avrebbe portato alla tomba in tre mesi.

Sullo sfondo, i due personaggi che offrono le facce della medaglia di un partito già da allora dilaniato da conflitti al suo interno, che Moro bacchetta con inedita severità e beffardo sarcasmo in un carteggio senza risposta fatto delle tante lettere (ben 86, se si considerano anche quelle ai suoi familiari) che scrisse dalla prigionia. Se Gigio Alessi è la maschera piangente di Benigno Zaccagnini, segretario di partito ed espressione dell’impotenza DC nel gestire una vicenda molto più grande, vedasi l’avversione Usa verso l’azione di Moro perfettamente dipinta dalla minacciosa figura di Kissinger, Fabrizio Contri presta il volto a Giulio Andreotti, che era Presidente del Consiglio di quel governo del compromesso storico tanto voluto da Moro, e la cui umanità traspare solo nella scena del vomito che lo investe la mattina di quel 16 marzo 1978 quando apprende del sequestro e della strage di via Fani. Poi più nulla. Assordanti sono l’assenza delle sue parole e il suo sonno tranquillo, mentre la notte di Cossiga è agitata e inquieta: lo si vede giocare con i soldatini, praticare il suo hobby di radioamatore e piombare all’improvviso nella sala delle intercettazioni alla ricerca di chissà quale indizio. Se poi al Presidente della Repubblica Giovanni Leone (interpretato da Nello Mascia) è affidato un ruolo quasi macchiettistico (lo si vede far visita alla famiglia Moro con i toni e le movenze di una prefica), sono invece relegati al ruolo di mera comparsa gli interpreti di Enrico Berlinguer e Bettino Craxi, esponenti di rilievo di PCI e PSI che in quei giorni si schierarono su fronti decisamente opposti (per la fermezza Berlinguer, per la trattativa Craxi). E i brigatisti? Bellocchio rappresenta anche loro, ricchi della loro protervia ma anche dei propri rimorsi. Se poco spazio hanno le vicende dei carcerieri e degli aguzzini (Mario Moretti, Anna Laura Braghetti, Germano Maccari, Prospero Gallinari e Barbara Balzerani), il film si concentra di più su Valerio Morucci e Adriana Faranda (nella finzione scenica Gabriel Montesi e Daniela Marra), partendo dalla scelta di quest’ultima di abbandonare sua figlia già nel 1976 per abbracciare il progetto eversivo e darsi alla latitanza, quindi esplorandone prima il folle invasamento verso la lotta armata e poi le frizioni interne al gruppo che portarono lei e il suo compagno Morucci ad essere di fatto gli unici a contrastare la decisione dei vertici BR, Moretti in testa, di uccidere Moro. Le vicende dei terroristi si intrecciano a quelle di un’Italia che in quei giorni si interroga e ha paura, che si mobilita nelle Università e che insorge nelle piazze: Bellocchio mostra con quadri di sapiente dovizia e lucidità le scene di giubilo nelle aule alla notizia del sequestro della Sapienza, dove pure Moro insegnava cercando di rapportarsi sempre con tutti, ma ricorda anche il rumore delle manifestazioni nelle quali con forza i cittadini chiedevano alle istituzioni di dar corso a quella trattativa che per Moro avrebbe significato la salvezza. Purtroppo la storia ci ricorda che le cose andarono diversamente, e la scena riproposta al termine del film, tratta dalla cronaca, con i funerali di stato celebrati in San Pietro il 13 maggio 1978 senza il corpo del defunto (già sepolto due giorni prima dalla famiglia, in aperta polemica con le istituzioni ree di non aver voluto salvare il proprio congiunto) offre una panoramica di uno stato impotente ma allo steso tempo tragicomico nella propria rappresentazione. Musicalmente parlando, se stavolta Bellocchio si affida al classico, attraverso le note elaborate da Fabio Massimo Capogrosso, che firma la colonna sonora, era stata senz’altro più incisiva Shine on your crazy diamond dei Pink Floyd, utilizzata nel film del 2003.

Nel complesso, Esterno Notte, per la cui sceneggiatura Bellocchio si è avvalso dei contributi di Stefano Bises, Ludovica Rampoldi e Davide Serino e della consulenza storica di Miguel Gotor, si rivela un ottimo spunto per provare ad affrontare e capire ancora una volta una vicenda che a quasi mezzo secolo di distanza resta ingarbugliata nella propria complessa realtà. Una vicenda che, pur avendo segnato irreversibilmente la vita di alcune persone e delle loro famiglie, non può essere vista come solo personale, avendo interessato le sorti politiche e la vita del nostro paese.

ESTERNO NOTTE (Italia, 2022, Drammatico, 330′). Regia di Marco Bellocchio. Con Fabrizio Gifuni, Margherita Buy, Toni Servillo, Fausto Russo Alesi, Daniela Marra, Gabriel Montesi, Fabrizio Contri, Gigio Alberti, Antonio Piovanelli, Pier Giorgio Bellocchio, Luca Lazzareschi, Paolo Pierobon, Renato Sarti, Davide Mancini, Bruno Cariello. Lucky Red.

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