Non è necessario che intrattenimento ed evasione, gioco, ristoro siano stesso sinonimo di irresponsabilità, automatismo, qualunquismo, ghiottoneria sregolata“. Lo scriveva negli anni Sessanta Umberto Eco a proposito delle canzoni che in quegli anni stavano iniziando a raccontare il presente in un modo diverso, non più edulcorato ma vicino alla realtà. Era l’epoca dei cantautori, che avrebbero segnato in modo indelebile la musica negli anni a venire. Le canzoni sono di casa al Festival di Sanremo, che però da sempre non è solo una gara canora e che negli anni è diventato sinonimo di spettacolo televisivo. In Riviera impera il chiacchiericcio, il gossip, il pettegolezzo, e allora spesso la musica resta in secondo piano. Ma, per una scelta ben precisa, abbiamo voluto e vogliamo parlare di musica e di canzoni e fare un bilancio di cosa è stato il Sanremo numero 73 che ha visto la quarta conduzione di Amadeus, affiancato quest’anno da Gianni Morandi e, nelle diverse sere, Chiara Ferragni, Paola Egonu, Francesca Fagnani Chiara Francini. Ha vinto Marco Mengoni, con Due vite, brano perfettamente in linea con la sua discografia: Mengoni ha fatto quello che sa fare, ovvero cantare, e lo ha fatto in modo egregio, con un’estensione vocale che può ovviamente permettersi e che il brano, romantico al punto giusto, gli ha consentito di fare. Sul podio, dietro di lui, sono finiti due outsider come Lazza Mr. Rain: il primo con un pezzo coinvolgente, Cenere, che sfrutta le incertezze di un’età di turbolenze come può essere quella dei trentenni di oggi per parlare d’amore in modo sofferto, il secondo con Supereroi, una nenia orecchiabile e furba che ha cantato accompagnato da un coro di bambini. Nella cinquina dei primi cono finiti anche Ultimo e Tananai. Il cantautore romano, che in molti alla viglia davano come unico competitor del vincitore annunciato Mengoni, ha presentato Alba, una canzone dal marchio di fabbrica ben definito, in linea con lo stile e la vocalità dell’artista. Tananai invece ha stravolto il canone dello scorso anno: se Sesso occasionale era una hit radiofonica che fa ancora ballare giovani e meno giovani con un testo leggero e una melodia orecchiabile, Tango è una canzone romantica che racconta un amore vissuto a distanza, dove l’ostacolo è rappresentato, oltre che dai chilometri che separano i due protagonisti, anche dalla guerra. Il video mostra una coppia ucraina, lei a casa e lui sul fronte: è tenero e struggente al tempo stesso. Ci è piaciuto, continuerà a piacerci ancora.

Dagli altri 23 artisti in gara non sono emerse particolari novità. Elodie ha calcato la mano sul suo personaggio da femme fatale per la quale la canzone (nello specifico Due), pur se orecchiabile, è un elemento di contorno e nulla più. C’è poi chi è stato penalizzato da una esecuzione troppo incerta, chi invece ha pagato per brani troppo morbidi e poco festivalieri. E’ il caso di Giorgia. Immaginarla lontana dal podio alla vigilia sarebbe stata pura utopia, ma alla luce del brano presentato (Parole dette male) il giudizio di giuria e pubblico sembra estremamente lusinghiero e premia sicuramente più la qualità indiscutibile di un’artista dalla voce immensa che il peso di un brano decisamente mediocre e ben al di sotto delle attese. Proseguendo, se Colapesce e Dimartino hanno confezionato un’altra hit radiofonica (Splash non ha l’intensità da tormentone che aveva Musica leggerissima ma è sulla sua scia), Madame ha confermato le qualità che già aveva mostrato di avere: Il bene nel male è una canzone coraggiosa, che parla del rapporto tra una prostituta e quello che per lei era più di un cliente. Un brano che ha fatto storcere il naso ai benpensanti, ma che sicuramente è più rivoluzionario di Made in Italy di Rosa Chemical, che farà discutere più per le proprie performance extracanore che non per la canzone presentata in gara.

Tra le delusioni svetta Anna Oxa: brutalmente algida, continua a giocare a fare la Patty Pravo ma storpia una canzone non banale come Sali, un invito a uomo e donna al recupero della propria spiritualità perduta. Un inno zen che in pochi hanno compreso appieno: colpa probabilmente dell’intepretazione dell’artista pugliese, incerta e urlata tale da diventare addirittura kitsch.

E gli atri? I Coma_Cose hanno consegnato un altro tassello alla loro storia d’amore in musica, portando al Festival un brano (L’addio) che suggella la riconciliazione dopo una crisi. Levante (Vivo) ha cantato la gioia di vivere di una donna dopo un periodo un po’ delicato della propria esistenza, con un brano convincente. Meno quelli dei Modà e dei Cugini di Campagna che rispettivamente con Lasciami e Lettera 22 hanno raccontato la depressione della solitudine in stili e musicalità diverse: Lettera 22 è scritta da La Rappresentante di Lista e si sente, ma è cantata da chi ha troppi anni sulle spalle e non trasmette la stessa freschezza e lo stesso candore.

In ultimo ho lasciato i giovani e due ritorni di cui sinceramente non sentivamo il bisogno: Articolo 31 e Paola e Chiara hanno fatto il loro tempo, mentre le nuove leve (Olly, Leo Gassmann, Ariete, Will, LDA, gIANMARIA, Mara Sattei, Sethu, Shari, Colla Zio) non sempre hanno portato freschezza, ma li ascolteremo certamente in radio.

Di Luigi Caputo

Idealista e visionario, ama l'arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia...