La più grave sospensione dei diritti democratici in Europa dopo la seconda guerra mondiale“. La definizione della dirigente di Amnesty International a commento di cosa accadde a Genova tra il 19 e il 22 luglio 2001 è devastante, ma non amplifica nulla. Descrive in una frase ciò che avvenne realmente in quelle giornate folli e tremende in cui l’Italia mostrò agli occhi del mondo la propria incauta capacità di gestire un evento di risonanza mondiale come il G8 di Genova. Uno stato incapace di garantire la libertà di espressione e capacissimo invece di mostrare il proprio lato più becero e violento contro cittadini inermi, rei solo di manifestare per un mondo più equo. Simboli di quella mattanza furono Carlo Giuliani e la Scuola Diaz, un ragazzo di vent’anni ucciso a Piazza Alimonda da un carabiniere suo coetaneo e un centinaio tra attivisti, volontari e operatori dei media italiani e stranieri picchiati a sangue da un nugolo di squadristi in divisa che cantavano “Faccetta nera“, sotto lo sguardo connivente di un governo repressivo e infame.

Genova, 20 luglio 2001, ore 17.30: il corpo di Carlo Giuliani giace a terra.

Ministro dell’Interno in quei giorni sciagurati era Claudio Scajola, uno dei peggiori politici di ogni tempo, abbonato alle figuracce per gli innumerevoli scandali che hanno attraversato la propria attività politica, uno su tutti quando dichiarò pubblicamente di vivere a propria insaputa in una casa al Colosseo di cui non sapeva nulla. Ma la gogna mediatica non lo condannò abbastanza per gli eventi di Genova dei quali aveva invece tutta la responsabilità insieme al capo della polizia Gianni De Gennaro, che negli anni sarebbe stato assolto e anzi promosso a sottosegretario, e al capo del governo e suo sodale Silvio Berlusconi.

A distanza di vent’anni restano quelle macchie di sangue consegnate alla memoria di chi non dimentica, resta il corpo di Carlo Giuliani in terra senza più calore coperto da un lenzuolo insanguinato. Resta la testimonianza di Mark Covell, giornalista inglese, la prima persona che i poliziotti incontrarono fuori dalla Diaz (che in quei giorni era stata adibita a sede del Geoa Social Forum) e che finì in coma per le percosse subite. O quella di Gianfranco Botta, giornalista rai, primo ad accorrere alla Diaz nella notte dell’irruzione e a documentare senza filtri la mattanza. Resta il vigliacco tentativo di depistaggio messo in atto da alcuni membri delle forze dell’ordine che introdussero delle bombe molotov per giustificare a posteriori la presenza di armi atte ad offendere in possesso dei manifestanti.

Due poliziotti trascinano un manifestante fuori dalla scuola Diaz.

Restano le ipocrite dichiarazioni di Roberto Sgalla, che nell’immediatezza di quanto era accaduto alla Diaz ebbe l’indecenza di dichiarare che i feriti erano una decina, tutti in forma lieve, che molti dei fermati avevano sul corpo sangue rappreso e che quindi erano già feriti prima degli scontri con la polizia e che nel corso della perquisizione erano stati trovati coltelli e spranghe. Resta il risarcimento subito da Arnaldo Cestaro, militante comunista di Vicenza, che nel 2001 aveva 62 anni e aveva deciso di recarsi a Genova per manifestare pacificamente insieme ai propri compagni e di passare la notte nella scuola, ignaro di cosa gli sarebbe accaduto. Le percosse subite gli causarono la frattura di un braccio, di una gamba e di dieci costole. Cestaro presentò un esposto alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che condannò all’unanimità lo Stato Italiano a risarcirlo con 45.000 euro per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti dell’uomo (“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti“) ritenendo che l’operato della Polizia di Stato alla Diaz dovesse essere qualificato come tortura. Con sentenze analoghe, lo stato italiano è stato condannato a risarcire altri 29 occupanti della scuola Diaz tradotti e picchiati lì e nella caserma di Bolzaneto con cifre comprese tra i 45.000 e i 55.000 euro a persona. 

L’interno della scuola Diaz dopo la mattanza.

Restano le frasi pronunciate all’indomani delle condanne subite dai poliziotti coinvolti ancora da Amnesty International, che biasimò con forza “i fallimenti e le omissioni dello stato nel rendere pienamente giustizia alle vittime delle violenze del G8 di Genova“, aggiungendo che le condanne ai responsabili erano arrivate tardi, con pene che non riflettevano “la gravità dei crimini accertati” e che in buona parte non sarebbero state eseguite “a causa della prescrizione e a seguito di attività investigative difficili ed ostacolate da agenti e dirigenti di polizia che avrebbero dovuto sentire il dovere di contribuire all’accertamento di fatti tanto gravi. Soprattutto“, concluse la nota “queste condanne coinvolgono un numero molto piccolo di coloro che parteciparono alle violenze ed alle attività criminali volte a nascondere i reati compiuti“.

Genova non ha scordato perché è difficile dimenticare,
c’è traffico, mare e accento danzante e vicoli da camminare,
la Lanterna impassibile guarda da secoli gli scogli e l’onda,
Ritorna come sempre, quasi normale, piazza Alimonda.
La ‘salvia splendens’ luccica, copre un’aiuola triangolare,
viaggia il traffico solito scorrendo rapido e irregolare.
dal bar caffè e grappini, verde un’edicola vende la vita,
resta, amara e indelebile, la traccia aperta di una ferita.
(Francesco Guccini, “Piazza Alimonda“, 2004)

Di Luigi Caputo

Idealista e visionario, ama l'arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia...