America, il sogno; Latina la realtà. Fabio e Damiano D’Innocenzo ritraggono un dualismo interiore, tentando di esplorare il buio di una coscienza.
Massimo Sisti (Elio Germano), dentista benestante di Latina, vive in una villa lussuosa, felicemente sposato, con due figlie. In un giorno come un altro, “l’assurdo si impossessa della sua vita”; un evento inaspettato e inspiegabile minaccia l’imperturbabile primavera e spacca la perfetta routine del protagonista, che comincia a interrogarsi sulla realtà che lo circonda e a dubitarne: cos’è reale e cos’è immaginario? La bambina relegata nella sua cantina o la sua famiglia perfetta? E’ l’inizio di una frattura. E’ l’inizio di un viaggio introspettivo, spiazzante, disturbante, tra amnesie, vuoti di memoria, abuso di alcol, un itinerario tormentato nella psiche del protagonista, perso nel labirinto delle sue inquietudini e delle ossessioni, afflitto dall’inettitudine alla vita e dall’incapacità di discernere tra sogno e realtà, tra immaginazione, proiezione dell’io e vita vissuta.
“È un thriller, ma anche un’indagine antropologica e umana, e ha momenti da film horror” – dichiara Damiano D’Innocenzo. Un calvario contemporaneo che si sviluppa tra contrasti: il sopra e il sotto, luce e ombre. Sopra, lo smalto bianco e traslucido di una dentatura perfetta; sotto, la placca, la carie, l’infezione. Da una parte, l’apparente quiete di una famiglia perfetta, la luce, la luminosità dell’architettura della villa, caratterizzata da grandi aperture, dipinta in un’immobilità da immagine di rivista di design, e l’igiene dell’ambiente e degli strumenti da lavoro sterilizzati; dall’altra, le tenebre, il malessere, i vizi, il buio, il sudiciume della cantina, dimensione altra, invisibile, scrigno di segreti e ricordi legati a un passato offuscato anche dall’alcol. Da una parte, la bellezza preraffaellita, l’immagine candida e idealizzata della moglie e delle due figlie, raffigurate come tre grazie, donne angelicate del dolce Stilnovo – come a suggerire un forte bisogno d’affetto – i cui costumi sono ispirati a Il giardino delle vergini suicide; dall’altra, i guaiti della bambina relegata in cantina, rappresentata come una bestia in cattività, incatenata in gabbia.
Tale dualismo acquista significato anche dal fatto che i registi siano gemelli: “il tema del doppio ci ossessiona un po’ da quando avevamo un secondo di vita. Guardando davanti a me non vedevo il cielo e la terra ma vedevo mio fratello, una cosa che mi somigliava tantissimo”. A interpretare questi contrasti e il dualismo vissuto dal protagonista, è anche l’elemento dell’acqua, simbolo di purezza, che attraverso il corso degli eventi viene filtrata e insudiciata, divenendo liquido tossico, torbido, come l’oblio, la memoria annebbiata, appannata. Non si dimostra affatto casuale, di fatto, la scelta di ambientare la vicenda a Latina, una città paludosa, bonificata, in cui il cemento si perde tra i prati brulli e le cattedrali industriali dismesse; come illustrato dagli stessi registi: “il Basso Lazio è un ambiente palustre e urbanisticamente incompiuto, fortemente connesso con la mente precaria e inquinata del protagonista”. Una cornice di provincia quella dell’hinterland Agro Pontino, un suburbio in cui la vita scorre quasi senza essere percepita, e che, tuttavia, ascoltando le dichiarazioni degli autori, assume i toni di un non-luogo sospeso, universale: “non ci interessa la sociologia né al cinema né nella vita […] il nostro interesse è raccontare storie non locali e l’Italia, in questo film, ha un ruolo puramente fisico, senza incidere minimamente nella narrazione. Fin dal titolo, prendiamo le distanze con qualsiasi forma di aderenza tra storia e geografia: siamo a Latina, ma potremmo essere ovunque”. Sono le parole stesse dei registi a suscitare un disappunto, perché potrebbe essere proprio il passaggio dall’astrazione al radicamento, dall’universale al locale, il carattere per portare a completa maturazione il linguaggio autoriale e la poetica, già ricercata e erudita, dei fratelli D’Innocenzo.
Dopo il grande successo per il pluripremiato Favolacce, i due gemelli tornano a narrare drammi di vita familiare. Se tuttavia i protagonisti di Favolacce sono uomini dominati da rabbia, egoismo e indifferenza, America Latina è il lento e inesorabile tracollo di un uomo fragile, sensibile e solo verso l’annichilimento umano. Alimentato da ansie, ossessioni, sospetti, paranoie, il dissidio interiore del protagonista, che scuote e disturba lo spettatore, è reso in modo espressivo dalle riflessioni che sfocano e alterano la sua immagine, riverberando il caos e la follia, verso cui precipita. Presentato alla 78ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il film si presenta come un lavoro cinematografico che, pur narrando poco, fa sentire molto, e predilige le immagini alle parole: “volevamo quasi fare un film muto. Volevamo scarnificare la parola. Cerchiamo sempre di essere meticolosi nel decidere cosa mettere dentro il quadro e in che modo. Ogni inquadratura è stata disegnata nei minimi particolari” – dichiarano i registi, da sempre appassionati di pittura e fotografia, che ci regalano un’opera esteticamente ricercata. Le inquadrature, costruite magistralmente, con particolare attenzione ai colori e alla composizione degli elementi nel quadro, costituiscono una delle soluzioni registiche più riuscite; le riprese delle scene dal basso e le angolature ristrette contribuiscono a generare un senso di asfissia e oppressione. I personaggi vengono spesso osservati al di là di un filtro – a volte attraverso le superfici vetrate e specchianti della casa, altre tramite le lenti degli attrezzi del dentista, altre ancora attraverso l’acqua torbida della piscina – e rimandano alla solitudine e all’alienazione degli abitanti delle opere di Hopper, che spesso sono dipinti come in trappola, dietro finestre che guardano a realtà impenetrabili e incomprensibili.
Con il loro terzo lungometraggio, i fratelli D’Innocenzo, più interessati a porre questioni che a offrire risposte, ricordano l’importanza della settima arte come stimolo per esplorare, interrogarsi e mettersi in discussione, dimostrando creatività, sensibilità, ricerca, intima e personale poesia, preziose per rinvigorire e dare nuova linfa al panorama autoriale italiano. America Latina è una storia che mette in crisi e che solleva domande a cui non è possibile dare risposta.
AMERICA LATINA (Italia, 2022, Thriller, 90′). Regia di Damiano e Fabio D’Innocenzo. Con Elio Germano, Astrid Casali, Sara Ciocca, Maurizio Lastrico, Carlotta Gamba, Federica Pala, Filippo Dini, Massimo Wertmüller. Vision Distribution. In sala dal 13 gennaio 2022.

Si occupa di arte, architettura, cinema d’autore, teatro e ricerca.