Intensa drammaturgia al Teatro Morelli di Cosenza, nel terzo appuntamento della stagione More Fridays 2014-2015. Saverio La Ruina ha portato nuovamente in scena ‘Dissonorata. Un delitto d’onore in Calabria‘, l’opera che lo ha consacrato con merito nell’olimpo del teatro contemporaneo. Un monologo di teatro militante accorato e vivo, che, attraverso la storia di Pasqualina, vuole dar voce alle donne e alle loro condizioni in contesti culturali, storici e geografici solo apparentemente distinti e distanti dai nostri. Il personaggio protagonista, a cui La Ruina dà volto, espressioni e voce (come in “La borto“), è sì una donna calabrese di quaranta o cinquanta anni fa, ma racchiude in sè caratteri e soprusi non assenti purtroppo nel quotidiano, dove ‘femminicidio’ non è parola lontana dalle cronache, e restano troppe, purtroppo, le violenze subite da donne anche in scenari familiari di apparente serenità. Donne che il destino ha trasferito in un piccolo paesino, decimato dalla seconda guerra mondiale, un luogo in cui la pastorizia rappresenta l’unico sbocco possibile e dove basta uno scambio di sguardi per essere etichettate come puttane. Un luogo dove la nascita di un figlio maschio è salutata con i brindisi e con gli spari di fucile, mentre quella di una figlia femmina è vista come una iattura. Le ‘femmine’ sono un peso, una rogna. Bisogna sorvegliarle, e vanno educate a camminare sempre ‘cu la capu vasciata, a cuntà le petre ‘nterra‘. Un luogo come ce ne sono tanti, in Calabria e nelle periferie del sottobosco metropolitano, vaste e senza voce, dove respirano in modo inerme e vinto le vite di anime pure sacrificate sull’altare della ferinità belluina dell’uomo.
In ‘Dissonorata’ la scena è riempita dalla sedia su cui si trova il personaggio protagonista, e dalla presenza di Gianfranco De Franco che con clarino, sax e glockenspiele offre contributi sonori discreti e pregnanti al tempo stesso. Una scarna rappresentazione, che si fa invece eco struggente di denuncia per le assurde vicende narrate. Pasqualina è vestita con pochi stracci, in modo umile e decoroso insieme. Non ha il nero, perché non può permetterselo, in quanto non è ancora vedova secondo i sacramenti. Vedova lo è però nel cuore, che le è stato strappato con l’inganno e la cattiveria di chi ragiona con ormoni di bestia. E, mescolando un gramelot che è poi il dialetto del Pollino, in un humus geografico dove i confini tra Basilicata e Calabria si confondono, ci racconta la sua storia: quella di una ragazza terza di quattro figli, analfabeta, che sogna l’amore e lo confonde nelle attenzioni di giovane che la seduce e la mette incinta. Il giovane le promette di sposarla, ma fa perdere le sue tracce, fino a scappare in America. La ragazza, terrorizzata, non può più nascondere la propria gravidanza, e nella famiglia che avrebbe dovuto proteggerla, si trova a subire, invece, un’assurda vendetta. Suo fratello, incaricato dagli stessi genitori, la brucia. Violenza al quadrato per una creatura ingenua e indifesa, che sognava l’amore come libertà da un padre padrone e da un contesto in cui essere donna significa giacere in una cronica inferiorità nei confronti dell’uomo.
Un amore rubato che è vita rubata, ai sogni alle ambizioni, alla dignità e al rispetto di ogni etica e morale.
La Ruina, con talento proprio di artista, esalta la sua creatura nel riprendere toni e colori di un personaggio che riesce, nella sua semplicità espressiva, a restare forte della sua ingenuità, commovente per la sua tenerezza, testimone di docile e granitico coraggio. Un coraggio che la spinge al sogno, a immaginare una salvezza e una redenzione, e una maternità quale quella di Gesù, in una stalla, con il calore di un cane e di un maiale al posto del bue e dell’asinello. Un linguaggio che diventa a volte persino comico, che commuove e che interiorizza il dolore di una creatura che non ha conosciuto la felicità.
Pasqualina è la Calabria martoriata, la terra dimenticata da tutto e tutti, ‘dissonorata’ nel cuore e nell’anima, da violenze declinate in tante cadenze: disoccupazione, mafia, povertà, ignoranza, disumanità, ciascuna un cancro che strozza la voce di chi non è libero di decidere delle proprie azioni e del proprio futuro. Un contesto nel quale, ancora oggi, troppi sono i sogni spezzati e le voci interrotte. Grandissimo merito a Scena Verticale, per una produzione già pluripremiata (due Premi Ubu nel 2007 a La Ruina come ‘miglior attore’ e all’opera come ‘nuovo testo italiano’) che è stata riproposta con giusta attenzione, ricambiata dalla presenza e dagli applausi di un pubblico attento e commosso.
(foto di Angelo Maggio per Progetto More)
Idealista e visionario, forse un pazzo, forse un poeta, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…