Probabilmente non ci saremmo mai aspettati Francesco De Gregori gran cerimoniere di Capodanno a Cosenza. Eppure è stato proprio così, con la prima serata di festa del 2015 in salsa bruzia, che ha radunato moltissime persone (c’è chi dice diecimila), provenienti anche da contesti più lontani. Il Principe entra in scena sul palco circondato dai cerchi colorati intorno all’una, con quasi mezz’ora di ritardo sul programma, mentre fuori la tanto declamata neve ha lasciato il posto a una pioggia insistente e fastidiosa, accompagnata da un vento glaciale. Quando iniziano a diffondersi le note di “Finestre rotte”, la gente è ancora poca. De Gregori, vestito di nero, occhiali scuri e con in testa un cappello da sceriffo, sembra il fratello di Bob Dylan, ma quello più bravo. La canzone, blues dylaniano nel genere e nell’anima (praticamente gemella di “The Levee’s Gonna Break”), manco a farlo apposta inizia con le parole “C’è gente senza cuore in giro per la città…”. Ma i cosentini, che nel frattempo crescono sotto il palco, un cuore ce l’hanno e lo dimostrano applaudendo e acclamando Francesco, e fanno così anche nella seconda canzone, “Viva l’Italia”, brano storico di un’attualità sempre paurosa, nel quale De Gregori regala una minuscola variante al testo: l’Italia da ‘nuda’ diventa ‘povera’, una sottigliezza forse inconsapevole o forse voluta, che a nostro dire la attualizza ancora di più. Intanto il cappello western ha lasciato spazio a un più comodo e protettivo berretto di lana, mentre la fedele armonica a bocca si accompagna alla chitarra, e lo farà per tutto il live. Il freddo si fa sentire come non mai, e il nostro, diventato nel frattempo (non ce ne voglia!) sosia di Tomas Milian, è già con il cuore a Firenze per omaggiare la sua “Caterina”. Tocca poi ad “Atlantide”, capolavoro ritrovato espressamente dedicato agli innamorati, che fa unire i cuori e dimenticare il freddo, e a “Un guanto”, riarrangiata in una versione rock che piace per la sua freschezza, che fa tanto pendant con il clima.
La parentesi dylaniana si interrompe con “Bellamore”, struggente ballata romantica che riconcilia con il mondo, mentre “Il panorama di Betlemme”, tratta da “Pezzi” del 2005, è una botta di adrenalina per scoraggiare eventuali dissidenze, e fa pensare ai paesaggi mediorientali in cui, anche in queste ore, si sanguina e si combatte. Il Principe chiede al pubblico come va col freddo, e dall’entusiasmo raccolto ne deduce che il concerto abbia davvero ingranato la giusta marcia. Meglio così. “La leva calcistica della classe ‘68” apre la bacheca dei successi degregoriani senza tempo, e i cosentini sognano di Nino e dei suoi gol segnati al portiere avversario, mentre la magnifica coda finale fa rivolgere un pensiero al Battisti di ‘Vento nel vento’, a cui è da sempre ispirata. C’è spazio poi persino per un brevissimo gioco di parole senza senso, con De Gregori che, per provare il microfono, ripete sillabe a caso in finto tedesco con una voce molto simile a quella incisa per una lontanissima “Dolceluna” di De André (tratto da “Volume VIII”). Ma l’apoteosi giunge con “Generale”, cantata da tutto il pubblico, composto perlopiù da 30-40enni: un inno perfetto contro la guerra, sempre presente nei concerti del cantautore romano. E quel treno ‘mezzo vuoto e mezzo pieno’ che va veloce verso il ritorno, due minuti prima che sia ‘quasi giorno, quasi casa, quasi amore’, profuma ancora di pace, oggi come ieri. L’attualità più stringente, che fa inevitabilmente pensare a “Mafia capitale”, ritorna a galla con “Per le strade di Roma”, da “Calypsos” del 2006, riproposta in chiave heavy-rock come nell’arrangiamento presente su “Vivavoce”, il “disco di cover di se stesso” rilasciato a novembre nei negozi. Il valzer di “Natale” ci riporta indietro, e più ancora lo fa “Niente da capire”, la cui cripticità resta una delle cose migliori del De Gregori giovane conferma cantautorale di quarant’anni fa, e dove il riff è quello suggerito da Lucio Dalla per la versione live della canzone che ha debuttato per la prima volta nel 1979 per il tour di Banana Republic.
Smessa per un momento la chitarra, giusto il tempo di un gesto veloce con le mani ai suoi musici, capitanati dal fido Guido Guglielminetti , ecco partire un riff coinvolgente, che vede protagonista il brass quartet che accompagna il Maestro: è “Mayday”, un brano pescato da “Calypsos”, scelta che ci spiazza e ci sorprende in modo piacevole, un richiamo alla fuga come ultima scelta per cambiare vita. Uno dei frammenti finali recita “abbandona la nave” e cogliamo un inevitabile collegamento con il brano suonato dopo, quel “Titanic” che racconta con leggerezza d’artista l’anticamera di una tragedia. “Buonanotte fiorellino” fa ondeggiare le teste coperte per il freddo: vediamo intorno a noi qualche bottiglia e qualche brindisi, in un’atmosfera tutto sommato estremamente tranquilla che celebra in modo giusto la festa di inizio anno. Intanto il concerto prosegue. Tocca a ”Va’ in Africa, Celestino”, dove le strofe sono un elenco di pezzi, blob apparentemente senza senso, che si chiude con un invito a partire il cui malcapitato destinatario è – ricordiamolo – quel Walter Veltroni che fu suo testimone di nozze, simbolo della politica delle parole, da cui De Gregori più volte ha mostrato di prendere le distanze.
Siamo agli sgoccioli, e alla fine tocca dar spazio alle perle più preziose della collezione. “Alice guarda i gatti, i gatti guardano nel sole…” è più di una canzone: lo sappiamo già, e lo sanno tutti quelli che seguono il Principe in questa storia un po’ bizzarra che parla di prostitute, di scrittori e di sposi, che nel 1973 fu capita da pochissimi ma che segnò il suo debutto solista nella discografia italiana. Bastano poi tre note al pianoforte per scatenare l’apoteosi. E’ “La donna cannone”, bella, struggente e coinvolgente come al primo ascolto, che la presenza del violino (a suonarlo, la bravissima Elena Cirillo) impreziosisce ancor di più. Telefonini in alto, come se fossero accendini, e poi abbracci e baci, per promesse di amore che stanotte valgono di più. Tocca poi a “Rimmel”, storica e istituzionale in un concerto di De Gregori, cantata in coro anch’essa, con il secondo ritornello che lascia il posto interamente alle voci del pubblico, accarezzate dall’armonica del Principe in un megakaraoke. Quindi, “Fiorellino#12&35”, che altri non è che “Buonanotte fiorellino” in una variante ritmata e festosa che piace tanto al Principe, e che richiama a Rainy Day Women #12 & 35 di Dylan (arieccolo!). E chiusura con la cover di “I can’t help falling in love with you” di Elvis Presley, con la quale De Gregori, da crooner seduttore, augura la buonanotte ai cosentini. Sono le 3, la grande festa è finita. Grande merito agli organizzatori, in testa il Comune di Cosenza e Giampaolo Calabrese della Archimedia Produzioni. Quasi due ore volate via, nel corso delle quali ci si aspettava di sentire anche “Il futuro”, cover di Cohen, che sarebbe stata in tema con il momento, o “Sei mai stata sulla Luna?”, l’inedito che farà da colonna sonora del film di Paolo Genovese in uscita fra pochi giorni. O magari “Natale di seconda mano” o “Santa Lucia“, dedicate a chi, extracomunitario o non, ha perduto l’anima e le ali, e anche nel 2015 continuerà a vivere da bruciato vivo all’incrocio dei venti. Ma stanotte era una festa, e nelle feste c’è spazio solo per i sogni. Lunga vita al Principe. Auguri.
Idealista e visionario, forse un pazzo, forse un poeta, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…