Abbiamo intervistato il giovane attore di origini venete, tra le figure più interessanti della scena contemporanea…
NoteVerticali.it_Giuseppe_Sartori_4Il teatro è rappresentazione della realtà. Questo può essere vero, ma per Stefano Ricci e Gianni Forte, meglio conosciuti come Ricci/Forte, un logo, un brand, un marchio di fabbrica, tutto ciò non basta. Per loro, la coppia più esplosiva del teatro italiano contemporaneo, la rappresentazione della realtà diventa esasperazione, provocazione, estremismo, per il bisogno di estremizzare ogni umano sentimento, dall’amore alla morte, dal dolore alla violenza, al pianto, al riso. Provare per credere. Una poetica pasoliniana, si direbbe. Ma che secondo noi va oltre il bisogno e la necessità, tutte pasoliniane, di provocare, anzi, di scandalizzare, per attirare l’attenzione dello spettatore. E va oltre perché è oltre il linguaggio, è oltre la narrazione, è oltre la fisicità. E portare in scena un lavoro di Ricci/Forte implica aderire alla loro poetica in toto. Ne sa qualcosa Giuseppe Sartori, nato a Castelfranco Veneto nel 1986, da anni ormai icona vivente del loro teatro, volto riconosciuto come tra i più promettenti sulla scena italiana ed europea. Diplomato alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano, oltre a lavorare in teatro, con impegni che lo portano anche all’estero, ha all’attivo interpretazioni per il web (la serie “Una mamma imperfetta” scritta e diretta da Ivan Cotroneo) e la tv americana (la serie tv “Allegiance”, con la regia di Jamie Barber). Abbiamo incontrato Sartori, rivolgendogli alcune domande.

Secondo lei, in che misura il teatro di Ricci/Forte è vicino al messaggio pasoliniano di condanna dell’omologazione culturale in Italia?
Ogni spettacolo che ho fatto con Ricci/Forte nasce da una viscerale necessità di esplorare e “masticare” un tema, un pensiero, un avvenimento; senza paure, vergogne o scorciatoie. Ad esempio “Macadamia Nut Brittle”, spettacolo costruito come una caduta libera senza paracadute, un viaggio attraverso progressivi inferni personali alla ricerca di un battito cardiaco che abbia ancora ragione di essere; “Darling” che inscena un’apocalisse morale e sociale dalle cui ceneri solamente una nuova identità, una nuova coscienza sociale e critica può sperare di risorgere; fino ad arrivare a “PPP Ultimo inventario prima di liquidazione”, che ancora più intimamente analizza il deserto culturale in cui ci troviamo a camminare.

Come mai il teatro di Ricci/Forte in Italia è ancora considerato un’avanguardia ipercoraggiosa mentre all’estero (per esempio in Francia) è del tutto legittimato?
Non sono convinto di questa affermazione, soprattutto se penso alla vita che ogni spettacolo ha avuto in Italia. “Avanguardia” mi sembra solo un’etichetta per costruire un perimetro soffocante intorno ad un teatro che in realtà si è legittimato da solo, si è ricavato uno spazio e un suo pubblico. Per una visione più ampia della questione produttiva-distributiva bisognerebbe chiedere a Ricci/Forte. Io sono solo un interprete.

NoteVerticali.it_Giuseppe_Sartori_Darling_3Perché, rispetto a esperienze teatrali più didascaliche e tradizionali, ha scelto di incarnare le suggestioni/provocazioni di Ricci e Forte?
L’incontro è avvenuto nel più classico dei modi possibili. Un provino pubblico, nel 2009. Avevo 22 anni. Da poco diplomato al Piccolo di Milano, mi guardavo intorno. La vera scelta è stata rimanere tutti questi anni. Lavoro anche al di fuori della compagnia. Mi piace mettermi al servizio di persone di cui ho stima e fiducia.

Che rapporto ha con gli autori? La scrittura è ritagliata sulla sua fisicità o accade il contrario?
Dopo tante esperienze insieme, ci lega affetto e stima reciproca, in un rapporto che trova comunque le sue basi in un profondo bisogno di professionalità. Spesso mi sono trovato ad essere portavoce dell’intimità degli autori; altre volte la scrittura ha attinto da mie esperienze personali come da quelle degli altri interpreti. Mai per parlare di sé: tutto viene macinato e trasfigurato in materiale poetico che diventa universale.

Ricci e Forte affrontano la contemporaneità, offrendo una visione della realtà che molto spesso sembra non conoscere alcuna possibilità di redenzione, attraverso la demolizione delle convinzioni e spesso anche del mito. C’è davvero tutto questo pessimismo e, se sì, perché?
Si! Gli spettacoli nascono per fotografare e analizzare una realtà, senza la pretesa di dare soluzioni o ricette. Anche nel più nero dei mondi rappresentati, però, non c’è mai resa, bensì una lotta perenne, uno slancio vitale che non si può sopire, che permette di non soccombere. Non ci si contenta del pessimismo, quindi forse dovrei cambiare la mia risposta iniziale: No!

Come definirebbe il suo rapporto con il pubblico? C’è differenza tra pubblico italiano e pubblico straniero?
Il rapporto con il pubblico è parte viva dello spettacolo, benzina per l’attore. Vorrei citare “Wunderkammer Soap”, progetto di performance di Ricci/Forte, di cui interpreto “Didone”, la prima di sette stanze delle meraviglie. Il pubblico è a due piedi da me e mi circonda, tanto che non è difficile chiedersi ad un certo punto chi sia l’attore e chi lo spettatore. Non trovo differenze tra pubblico straniero e pubblico italiano. Esistono sfumature diverse da città a città: Torino e Roma, Palermo o Venezia, Madrid o Mosca riflettono nel loro pubblico le loro peculiarità.

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(da “Macadamia Nut Brittle”, di Ricci/Forte, foto di E. Albarosa)

In ‘Still Life’ avete rappresentato una testimonianza di catarsi contro l’omofobia. Cosa può essere fatto dalla cultura per sconfiggere definitivamente ogni forma di pregiudizio?
Non arrendersi. Non smettere di parlare, urlare se serve. La responsabilità è nostra. Ognuno, nella sua vita privata, può e deve contribuire. Quando uno Stato è assente, il peso sulle nostre spalle è ancora più forte.

Qual è lo stato di salute del teatro italiano oggi?
Ho letto varie risposte a questa domanda, indirizzate a persone con autorità e competenza maggiore della mia, e mai una volta avrei modificato una virgola…prognosi riservata, lungodegenza, terapia del dolore. Se il teatro sta morendo è perché noi stiamo morendo.

Il teatro di Ricci/Forte è incentrato molto sulla corporeità. Ha avuto qualche imbarazzo nel comparire sul palco nudo?
Certo, e lo sarò sempre, per fortuna.

Cosa le piacerebbe interpretare che non ha mai interpretato?
Ho fame di esperienze, e il desiderio di mettermi alla prova su più fronti. Ogni volta che a teatro o al cinema vedo qualche cosa che mi cambia il pensiero, che mi apre a prospettive nuove, ecco che trovo e riconosco cosa mi piacerebbe fare.

Da attore, si ritiene votato esclusivamente al teatro o potrebbe interessarle anche il cinema?
Ovvio che sì. Non credo esistano attori che risponderebbero negativamente a questa domanda.

Avrebbe senso portare in televisione o al cinema uno spettacolo di Ricci e Forte? E farlo rappresentare nelle scuole?
Il Teatro avrà sempre senso, anche via cavo! Ci sono spettacoli che sarebbero perfetti per una “allucinazione” cinematografica. Mi divertirebbe molto l’idea, e forse anche a Ricci/Forte. A Palermo, qualche mese fa, con “Still Life” abbiamo per la prima volta testato uno spettacolo con degli studenti in sala, e non c’è niente di più importante e necessario. E’ fondamentale che i ragazzi si confrontino con lo spettacolo dal vivo.

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Di Luigi Caputo

Idealista e visionario, ama l'arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia...