Nella sua apparente tranquillità, la quotidianità vissuta dal lato occidentale delle cose può diventare anticamera di uno scenario che respira un cocktail esplosivo di tragedia e dramma. Così, la normalità dei rapporti familiari può dare adito a situazioni difficili che sparigliano le carte, scombussolano le esistenze, e permettono loro malgrado di scoprire la reale natura delle persone, e il loro atteggiamento ferino che è disposto a tutto pur di difendere uno status symbol acquisito con gli anni o in procinto di essere messo alla berlina. “I nostri ragazzi” (01 Distribution), di Ivano De Matteo, liberamente tratto da “La cena” di Herman Koch, racconta di due fratelli romani, Massimo (Alessandro Gassman) e Paolo (Luigi Lo Cascio). Il primo, avvocato di grido, veste in modo elegante, gira in Suv ed è amante della bella vita. Rimasto prematuramente vedovo, ha una seconda moglie, Sofia (Barbora Bobulova): con loro vivono Maria, la figlia piccola della coppia, e Benedetta, detta Benny (Rosabell Laurenti Sellers), adolescente estroversa e dinamica che Massimo ha avuto dal primo matrimonio. Paolo è invece un pediatra ospedaliero, punto di riferimento per colleghi e pazienti: sempre tranquillo e di ottimo umore, vive nell’idealismo, convinto di dover adoperarsi sempre e comunque per far del bene agli altri.
Paolo è sposato con Clara (Giovanna Mezzogiorno), che fa la guida turistica: i due hanno un figlio sedicenne, Michele (Jacopo Olmo Antinori), timido e introverso, molto legato a Benny. Due famiglie distinte e distanti, che dal punto di vista degli adulti sono unite dal legame parentale e soltanto da quello. I due fratelli, infatti, non sono attratti da simpatia reciproca, né tantomeno le rispettive mogli. Una estraneità conclamata nei fatti, che però viene illusoriamente sconfessata a regolare scadenza, in quanto, per volere di Massimo, le due coppie si ritrovano puntualmente a cena una volta al mese in un lussuoso ristorante del centro. La cena è l’occasione, per i due fratelli, per continuare a pungolarsi su temi sui quali la pensano in modo opposto, e per le mogli, per finte chiacchiere che arrivano al dimenticatoio già prima di raggiungere il cervello. Su tutti, però, regna, come gas ammorbante che sprigiona il seme dell’assuefazione, il piattume della modernità, e uno status al quale a nessuno piace rinunciare: Paolo odia l’atteggiamento da superuomo di Massimo, però lo asseconda tranquillamente perché anche a lui, in fondo, piace sorseggiare un vino pregiato o gustare l’ultima creazione dello chef. Dal canto suo Massimo, insofferente verso le paternali moraliste del fratello, nella cena che gli paga una volta al mese forse si lava ipocritamente la coscienza, illudendosi di recuperare con lui un rapporto già irrimediabilmente perso.
Nella propria quotidianità, i componenti di ciascun nucleo genitoriale vivono il rapporto con l’adolescenza dei propri figli, che cercano di capire e assecondare, convinti che la presenza rassicurante aiuti a superare il brutto voto a scuola e le giornate affette dal mal di vivere. Un equilibrio comune a tante famiglie, che viene brutalmente distrutto quando Benny e Michele compiono un gesto che segnerà per sempre le loro vite: al termine di una festa, per strada, aggrediscono una barbona, provocandone la morte. Massimo e Paolo, e le rispettive mogli, scoprono la tremenda verità, e da lì in poi lo spettatore assiste a uno stravolgimento relazionale e di comportamento, che dimostra quanto difficile e complesso sia il ruolo dei genitori in una società abitata da disvalori e difficoltà di relazione. Se crediamo sia vero che, al termine del film, in una scena madre che evidenzia l’indiscussa qualità attoriale di Gassman e Lo Cascio, lo spettatore sia inevitabilmente portato ad identificarsi con il più ‘buono’ tra i personaggi, maledicendo il ‘cattivo’, immaginiamo che, un attimo dopo, alla domanda “E se capitasse a me, io cosa farei?”, non tutti avrebbero la coscienza di rispondere onestamente.
Con questo film, scritto insieme alla compagna Valentina Ferlan e presentato a Venezia 2014 nelle “Giornate degli autori“, Ivano De Matteo si conferma tra i migliori registi della nuova generazione. Il suo cinema, fatto di inquadrature asciutte, per alcuni forse addirittura dilatato, se è all’antitesi degli action movie di matrice statunitense – e per noi è assolutamente un bene che lo sia – riesce a calarsi perfettamente nella realtà italiana di oggi. Così, dopo “Gli equilibristi”, presentato con successo alla Mostra di Venezia del 2012, che raccontava la storia di un marito (Valerio Mastandrea) alle prese con una separazione lancinante e distruttiva, ne “I nostri ragazzi” De Matteo indugia nuovamente sulla famiglia come “luogo-non luogo” i cui componenti implodono su se stessi distruggendo etica e dignità. Una deflagrazione di sentimenti e di relazioni che è figlia del progresso, e che vede gli adolescenti, o almeno gran parte di essi, pienamente inconsapevoli delle proprie azioni, e i genitori, o almeno gran parte di essi, totalmente inadatti al loro ruolo educativo. Un film che andrebbe proiettato nelle scuole, e in molte, molte famiglie.
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