Lo spettacolo, prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana, è in scena fino al 24 gennaio al Teatro Eliseo di Roma.
Sei personaggi in cerca di autore rappresenta un vero e proprio manifesto per la drammaturgia moderna. Scritto nel 1921 da Luigi Pirandello, anticipa il tramonto del grande attore e la frantumazione del teatro tradizionale avvenuta nei decenni successivi al secondo dopoguerra. I sei personaggi si ribellano alla dittatura del capocomico che con i suoi modi dispotici ricorda il regista boemo Gustav Machaty, descritto da un giovanissimo Mario Monicelli nella sua esperienza da aiuto regista sul set Ballerine.
I personaggi traboccano dalle pagine della sceneggiatura ed escono dal cassetto nel quale il loro autore li aveva relegati, rinnegandolo, e vanno alla ricerca di qualcuno che sia in grado di rappresentarli. Irrompono in un teatro in cui si stanno svolgendo le prove del Giuoco delle parti, altra opera di Pirandello, e supplicano il capocomico di mettere in scena il dramma di cui sono testimoni in qualità di personaggi. Siamo al centro del buco nero del meta-teatro: il teatro collassando su se stesso crea un vuoto che attira a sé con violenza i grandi interrogativi drammaturgici del ventesimo secolo.
Che differenza c’è tra l’autore e il regista? E tra il personaggio e l’attore che lo interpreta? L’autore è chi scrive il testo o il regista che lo interpreta inserendolo in una propria e personalissima visione? O forse sono i personaggi a vivere di vita propria? Il personaggio come viene interpretato dall’attore? E’ l’autore che deve star dietro al personaggio o viceversa? L’utilità di questi interrogativi non sta nella reale capacità di fornire risposte, ma nella loro forza di aprire varchi nella riflessione teatrale e mostrare le strade finora inesplorate. Come un demiurgo, esse imprimono il primo movimento all’aggrovigliata materia della realtà teatrale del primo Novecento e mettono in moto i tentativi di risposta che porteranno alle sperimentazioni future.
Lavia riflette la frammentazione pirandelliana: fa ascoltare le note di regia scritte dallo stesso Pirandello e allo stesso tempo è l’attore che fa ciò che l’autore dice, ma è anche il personaggio, nonché il regista. Gli oggetti sulla scena evocano i personaggi che vengono plasmati attraverso essi, il teatro di fantasia di Mejerchol’d si afferma e il naturalismo soccombe alle infinite possibilità dell’io, perché non solo è impossibile raccontare e inscenare la realtà, ma essa è inconoscibile in virtù della sua natura ambigua. E se per Pirandello la verità è inconoscibile, un’altra lettura la fornisce Pasolini in Che cosa sono le nuvole?, altro capolavoro sul meta-teatro.
Ninetto Davoli: Ma qual è la verità? È quello che penso io di me o quello che pensa la gente o quello che pensa quello là, lì dentro?
Totò: Cosa senti dentro di te?
Ninetto: Sì, sì. Sento qualcosa che c’è.
Totò: È quella la verità. Ma non bisogna nominarla perché appena la nomini, non c’è più.
L’inconoscibile verità pirandelliana diventa in Pasolini conoscibile, ma solo inconsciamente e quindi resta indicibile.
Attraverso i sei personaggi vengono portati sul palco i grandi interrogativi della filosofia e dell’arte: il rapporto tra finzione e realtà, tra vita e morte, l’analogia tra il mistero della creazione divina e la creazione artistica, il libero arbitrio e il disegno di Dio e in un’ultima analisi dell’autore.
Il testo pirandelliano fa da spartiacque anche per l’arte della recitazione: le movenze rigide e i modi melliflui degli attori devono necessariamente lasciare spazio a un’interpretazione vissuta, a un’immedesimazione totale in cui l’attore diventa il personaggio, come teorizzato da Stanislavskij agli inizi del ventesimo secolo. Vittima necessaria di questo cambiamento sarà il suggeritore, destinato a estinguersi affinché gli attori imparino a memoria il copione, in vista di un’immedesimazione totale. Eppure, i personaggi di Pirandello non ammettono diversità dal modo in cui l’autore li ha concepiti per essere rappresentati e in questo modo diventano prigionieri della storia che li ospita, provano a ribellarsi ma un’inspiegabile forza li riporta al proprio posto.
Oggi, com’è cambiato il modo di rappresentare i personaggi creati da altri? E fino a che punto il regista può – e deve – apportare dei cambiamenti? Forse, oggi, “l’attore deve stare accanto al personaggio”, come fa ripetere continuamente Nanni Moretti nel suo ultimo film Mia madre.
Sei personaggi in cerca d’autore, di Luigi Pirandello, regia di Gabriele Lavia, scene di Alessandro Camera, costumi di Andrea Viotti, musiche di Giordano Corapi, produzione Fondazione Teatro della Toscana.