C’è una luce bianca puntata sopra qualcosa. A prima vista non si vede nulla, non si capisce nulla. Due mani indicano e accarezzano una porzione d’aria. Poi alcune parole scandite con durezza danno forma a quel qualcosa, che poi è un corpo, invisibile agli occhi, ma visibile a tutti gli altri sensi. Da quel corpo esanime sta parlando Pier Paolo Pasolini, morto quarant’anni fa a Ostia, ma la voce e i gesti sono di Fabrizio Gifuni, nato quasi cinquant’anni fa a Roma.
L’attore ricompone sul palco del Teatro Franco Parenti di Milano il primo romanzo dello scrittore di origine friulana, Ragazzi di vita, cucendo pezzi e brani di quest’opera neorealista che racconta, quasi fosse un film, le vicende di un gruppo di giovani romani, sottoproletari e sbandati, alle prese con la vita quotidiana delle borgate. Qui il romanesco, sporco e popolare, la fa da padrone, e conferisce alla scrittura potenza e verità, e così la “lingua madre” di Gifuni – alle prese con un altro monologo dopo l’impresa riuscita con i testi di Albert Camus e Carlo Emilio Gadda – vibra e gira come musica rauca nella polvere del palcoscenico vuoto, attraversato dalla fisicità dell’attore, che taglia l’aria, e corre, e grida.
Dunque Gifuni ci convince fin dalle prime battute di quanto sta per accadere, e la poesia che inevitabilmente scaturisce dalla prosa di Pasolini utilizza il suo corpo come un automa, sciogliendosi fra diversi toni e accenti, per trasportare nello spazio i dialoghi primitivi fra il Riccetto e i vari protagonisti della periferia romana, il Caciotta, la Nadia, il Begalone, insomma tutto quel caleidoscopio fatto di umanità ai margini, gente di malaffare, ragazzini di provincia. Ecco quindi che la tecnica ed i polmoni dell’attore sembrano scolpire nello spazio quelle vite e quelle miserie, e noi abbiamo davvero la sensazione di ritrovarci di fronte ad una bisca improvvisata in mezzo alla strada, o ad un’avventura sessuale consumata in fretta o ancora di fronte a pestaggi di “froci” e “ragazzetti”.
In un’ora e poco più di suoni e gesti, Fabrizio Gifuni porta a termine magnificamente il compito che si è assegnato. Farci conoscere l’opera e l’arte di Pier Paolo Pasolini, rendendola più facilmente leggibile ad un pubblico così distante dalla parlata romanesca, che non deve così incastrarsi fra le difficoltà di un dialetto ma semmai abbandonarsi ad una storia interpretata con dolcezza, quasi per farci star meglio dentro alla notte che ci aspetta. Anche perché, come diceva lo stesso Pasolini e come chiude il discorso Gifuni, “la morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi”.
Ragazzi di Strada di Pier Paolo Pasolini, reading di Fabrizio Gifuni, Teatro Franco Parenti, Milano, 11-15 Novembre 2015.