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Tratto da tre racconti firmati da Giambattista Basile (La regina, La pulce, Le due sorelle), Il racconto dei racconti”  è il film di Matteo Garrone in lizza per la Palma d’Oro a Cannes. Si tratta del primo film girato in lingua inglese dal regista. Come egli stesso ha dichiarato, l’obiettivo è stato quello di arrivare a un pubblico internazionale. Nel farlo però, Garrone non tradisce, ma anzi rafforza il suo piano artistico.

L’idea che si ha guardando un film come “Il racconto dei racconti” è piuttosto quella di una sensazione, una sorta di vertigine che si manifesta sia sul piano del racconto che su quello dell’immagine. I personaggi, in preda ai loro desideri più grandi, sono sempre in bilico in una condizione di incertezza. Sensazione ridondante sul piano visivo, dove la vastità dei paesaggi ripresa dall’alto determinano un clima sospeso. Già dai primi minuti del film il regista si prende del tempo per esplorare lo spazio. Lo fa lentamente,  con un movimento di macchina che segue, a partire dal buio della sua ombra, una figura ripresa di spalle. Man mano che ci allontaniamo da essa, l’immagine si schiarisce e ci proietta nella luce di una piazza circoscritta dalle mura di un castello. Questa alternanza luce/buio ritorna insistentemente nel corso del film a dimostrazione della stessa dicotomia tra reale e fantastico. Dalla luce torniamo nuovamente al buio, dall’esterno all’interno, seguiamo un gruppo di circensi all’interno del palazzo reale.

Eccoci alle soglie della prima delle tre storie, quella della regina (Salma Hayek) ossessionata dal desiderio di avere un figlio. A questo scopo, su consiglio di un negromante, la regnante mangia il cuore ancora pulsante di un drago marino cucinato da una vergine, la quale a sua volta rimane gravida. Nel giro di una notte, entrambe le donne danno alla luce un bambino. Nonostante siano frutto di madri diverse, il legame tra i due, totalmente identici nell’aspetto si rafforza con gli anni, fino a spingere la gelosa regina a separarli con la forza.

NoteVerticali.it_Il racconto dei racconti_13La seconda storia è quella di due vecchie sorelle lavandaie. Udito il canto di una delle due, il re di Roccaforte (Vincent Cassel), appassionato conquistatore di donne, vuole a tutti i costi scoprirne l’identità. Tirata e incollata al meglio la sua pelle, Dora viene ricevuta dal re nel buio della notte. All’indomani, la luce del mattino illumina il volto della donna che viene fatta scaraventare giù dalla finestra. La vecchia viene salvata da una maga che la allatta facendola ringiovanire. Il suo bell’aspetto conquista il re che la prende in sposa. Sua sorella Imma, credendo di poter anch’essa ringiovanire, si lascia scorticare via la pelle.

NoteVerticali.it_Il racconto dei racconti_14Il terzo episodio è quello del regno di Highhills, il cui sovrano (Toby Jones) cresce amorevolmente una pulce. Distratto dal suo animale domestico, il re non si interessa della figlia adolescente Viola, che desidera sposarsi più di ogni altra cosa sposare un bel principe. Alla morte della pulce, il re ne espone la pelle e imbandisce un torneo in cui promette di dare in sposa sua figlia a chiunque indovini l’animale di appartenenza. La sorte vuole che sia un orco ad indovinare. Viola accetta di andare con l’orco, ma farà di tutto per tornare al castello da suo padre con la sua testa mozzata della bestia.

Un elemento che accomuna i tre episodi è il tema del doppio che si ricollega alla sensazione di vertigine iniziale. L’emblema di questa condizione è l’immagine dei giocolieri che camminano sul filo, che ritorna in più occasioni nel corso del film, per chiuderlo nella scena finale. La vertigine del resto, altro non è che una distorsione della percezione sensoriale determinata da una sorta di doppio movimento inverso. Un movimento caratterizzato dunque da una duplicità tra la realtà del nostro sguardo e l’errata percezione di ciò che ci appare, ed è dunque finzione. Il film gioca tutto sul costante oscillare da una storia all’altra, tra suggestioni reali e fantastiche, da ambienti bui a paesaggi illuminati dalla spietata luce sole, che pone fine ad ogni illusione. La pellicola è ricca di elementi orrorifici che colpiscono lo spettatore senza alcun filtro di oscurità, come la scena diurna in cui la vecchia Imma, dopo essersi lasciata scorticare per cercare la giovinezza, sale i gradini che portano al castello.

La dicotomia che permea il film determina un tempo fluttuante e lento che permette allo spettatore di gustare tutto il potere visivo dell’immagine. Servendosi di spunti pittorici, in particolare i capricci di Goya e elementi paesaggistici, le sensazionali location pugliesi, struttura l’immagine sempre pregna di elementi geometrici, in cui si muovono turbati i personaggi della storia. Garrone non delude mai sul piano estetico e non a caso dedica la sua opera, oltre che a suo padre Nico, al suo padre spirituale, il direttore della fotografia Marco Onorato, che lo ha accompagnato fino a Reality.

Come già era successo nei suoi film precedenti, il regista ci mette di fronte a un mondo animato da personaggi ossessionati, disposti a tutto pur di soddisfare i propri desideri. Nel fiabesco, Garrone incorpora le medesime istanze presenti in film come “Primo amore”, “Reality” e “Gomorra”. Lui stesso dichiara a proposito: «Ho sempre cercato di partire dalla realtà contemporanea e di trasfigurarla. In quest’ultimo progetto invece ho fatto esattamente l’inverso. Siamo partiti da una dimensione magica e l’abbiamo portata ad un contesto realistico». Indipendentemente dal punto di partenza l’obiettivo è rimasto invariato. ll clima sospeso, dettato da movimenti di macchina lenti, ma anche la staticità nella raffigurazione dell’immagine, determina l’universalità dei motivi principali. Le ossessioni, i desideri spinti oltre il limite abitano l’uomo indipendentemente dallo spazio e dal tempo.

 

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