A dieci anni dal debutto, torna in scena la storica produzione per la regia di Ernesto Orrico. 

NoteVerticali.it_Jennu Brigannu_Manolo Muoio_Ernesto Orrico_Paolo NapoliDare voce ai perdenti, cercando di ripristinare il senso delle cose, di cambiare le vuote menzogne dei libri di storia, e di far riflettere su ciò che siamo e su quello che potremmo essere. “Jennu Brigannu – storie di briganti calabresi“, con testo di Vincenza Costantino e regia di Ernesto Orrico, è tornata in scena a dieci anni dal debutto, in una nuova produzione a cura dell’associazione Zahir. E lo ha fatto fuori dalle canoniche tavole di un palcoscenico, per trasferirsi su quelle, che ricordano una classica scacchiera, dell’anfiteatro San Giuseppe di Mendicino (CS), in occasione della rassegna “Radicamenti“, organizzata dall’amministrazione comunale, che ha intelligentemente dato spazio a una serie di eventi culturali gratuiti con i quali voler ripercorrere il senso dell’identità e dell’appartenenza. E “Jennu Brigannu” è una rappresentazione che calza a pennello con questo tema.

NoteVerticali.it_Jennu Brigannu_Manolo Muoio_Ernesto Orrico_1Un dialogo a più voci (nello specifico, quelle dello stesso Orrico e di Manolo Muoio) che parte dalla realtà calabrese di oggi, attraversata, ancora una volta, dallo spettro dell’emigrazione, per abbandonarsi al ricordo dei briganti. Figure che nella drammaturgia della Costantino riacquistano la giusta dignità. Un’operazione necessaria, volta a ripristinare la verità e a cancellare l’oscuro disprezzo dalla logica dell’imperialismo di regime ai tempi dell’unificazione italiana, avallata per più di un secolo da un sistema oscurantista che ha imposto la visione dell’unità d’Italia come frutto del sacrificio dei Savoia, meritevoli di aver portato democrazia in terre dominate dalla violenza e dalla barbarie. Niente di più falso. Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, i briganti diventarono fuorilegge a seguito delle oppressioni subite dai nuovi conquistatori piemontesi, che depredarono il territorio e i loro abitanti creando miseria e degrado laddove c’erano ricchezza e capacità imprenditoriale. Orrico e Muoio sono accompagnati sulla scena dalle musiche di Paolo Napoli, eseguite dal vivo dallo stesso autore, che si alterna sul palco tra diversi strumenti, dalla fisarmonica alla zampogna.

NoteVerticali.it_Jennu Brigannu_Manolo Muoio_Ernesto Orrico_2E, in quella che diventa, a ragione, una partita a scacchi con la storia, la rappresentazione è un continuo rimando alla realtà calabrese, da sempre accogliente verso invasori e conquistatori, dagli Svevi agli Arabi, ai Borboni. Un destino che passa anche da Peppino Garibaldi, eroe controverso, che in scena è trattato con la giusta misura, secondo noi: una modalità apertamente contestata da un solo spettatore che, borbottando, e fra le risate generali, decide di abbandonare la platea. Un destino che però non risparmia certo i nostri giorni. Giusto, a questo proposito, il richiamo all’attualità, con l’inserimento di nomi e cognomi di politici che, attraverso le inchieste di questi giorni, da Rimborsopoli in poi, si pongono come continuatori di quel destino di distruzione delle speranze di chi è nato in questo lembo d’Italia. Che o fa l’emigrante o sceglie di diventare brigante. E, attraverso i personaggi in scena, ha la briga di farlo senz’armi, ma con la parola di denuncia e di voglia di cambiare. L’unica che sa di giusto riscatto per i torti subiti. L’unica che deve farsi sentire sempre più forte.

Ben venga allora il teatro militante, che dà voce alle minoranze e che contribuisce ad aprire una strada verso il futuro. Serve rimboccarsi le maniche, non piangersi addosso. Alla fine dello spettacolo, Orrico, Muoio e Napoli raccolgono gli applausi più che meritati del pubblico presente. La partita a scacchi può dirsi vinta.

(Foto di Antonio Carpino. Si ringrazia per la gentile concessione)

Di Luigi Caputo

Idealista e visionario, ama l'arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia...