La solitudine è una disciplina difficile da imparare. Siamo a Gotham City negli anni settanta e Arthur Fleck è un disadattato che vorrebbe fare il comico, ma è costretto a guadagnare soldi improvvisandosi pagliaccio per pubblicità di svendite nelle strade, alle feste dei bambini o ovunque siano richiesti i sui servigi. Purtroppo un individuo “battibile” come il clown si chiama solo quando serve qualcuno su cui riversare risate o frustrazioni.

Joker, il Leone d’oro all’ultimo Festival di Venezia, si apre con una grande lezione di verità che vede un gruppo di teppisti dileggiare e picchiare il povero Arthur. Todd Philips dichiara immediatamente l’ambiente che fa da sottofondo alla vicenda: una città fatta di oppressi, senza cuore e con un’empatia pari a zero. Il futuro Joker deve districarsi in questo inferno odiando se stesso, la sua vita e facendo ricorso alle medicine per rendere il tutto più sopportabile. “La mia vita non ha avuto alcun senso, mi auguro lo possa avere la mia morte”, questa frase appuntata nel quaderno del protagonista descrive perfettamente le intenzioni di un uomo mite che non riesce a capire come reagire alle ore che si susseguono come se lui fosse un fantasma.

Il film esce dal circo mediatico del “supereroe /cattivo” canonico, l’antagonista Bruce Wayne è solo un bambino, e si sofferma su una semplicissima domanda: Che cosa fa uscire di senno una persona fino a trasformarla in un cattivo? Todd Philips ricalca il binario di Nolan pur senza scimmiottarne lo stile. Un film molto buono, in grado di trasmettere la disperazione di Fleck, adulto con un passato scuro e vittima di una madre indecente a cui lui si dedica in maniera ossequiosa. Preso atto di esistere Arthur, narcisista costretto, ci prenderà gusto da diventare un punto di riferimento per la rivolta. Joker non è un leader ma sono un uomo in grado di tirare fuori il peggio dall’inconscio collettivo, un manipolatore, un veicolare di dubbi spesso troppo legittimi.

Nel valutare il film va dedicata una parentesi in singola al protagonista partendo da una certezza: Joaquin Phoenix è uno dei tre migliori attori viventi. La sua performance porta il film da buono a ottimo, il suo viso riesce a trasmettere tutta la gamma di emozioni che un carattere così sfaccettato come quello di Fleck porta in dote. Questo professionista indiscutibile non prende spunto da nessuna precedente interpretazione del personaggio Joker, ne crea una nuova e personalissima. Le pause, le espressioni e quella risata scomposta diventano tratti distintivi che lo allontanano dal passato.

Il regista lo segue, gli gira intorno quasi fino allo sfinimento, Phoenix lo ripaga costruendo due Arthur Fleck nel medesimo film. Allo spettatore arriva la trasformazione del protagonista, da mite e pavido a sfrontato e prevaricatore. Una prestazione sublime che riesce a far passare in secondo piano anche l’ottimo Robert De Niro al quale Phillips ha voluto concedere di tributare l’omaggio per due pietre miliari della sua carriera come Re per una notte e Taxi driver.  Un Leone d’oro legittimo da dividere in parti diseguali perché Joker è Joaquin Phoenix non solo nell’attribuzione dei ruoli. Un talento cosi cristallino si può difficilmente anche avvicinare e gli altri attori diventano spettatori non potendo far altro che rimanere a guardare.

JOKER (Usa, 2019, Drammatico, 122′). Regia di Todd Phillips. Con Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Zazie Beetz, Frances Conroy, Marc Maron, Bill Camp, Glenn Fleshler, Shea Whigham, Brett Cullen, Douglas Hodge, Josh Pais, Bryan Callen. Warner Bros Italia. In sala dal 3 ottobre 2019.

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