Cos’è più importante: l’affinità sessuale o quella intellettuale? È questo il fulcro del terzo film diretto dalla canadese Monia Chokri, una commedia romantica divertente e consapevole, intitolata “Simple comme Sylvain” (“Semplice come Sylvain”) o “La natura dell’amore”, nella versione in italiano. Dopo averlo visto, non si può non preferire il titolo originale francese: “La natura dell’amore” è più astratto, ma non ha l’acutezza di “Simple comme Sylvain”.

Scritto e diretto dall’attrice e regista quebecchese Monia Chokri, al suo terzo lungometraggio, dopo “La Femme de mon frère” (2019) e “Babysitter” (2022), il film è stato presentato al Festival di Cannes nella selezione Un Certain Regard e arriva nelle sale italiane il 14 febbraio, in occasione di San Valentino.

La multi-talentuosa Chokri ha già preso parte a diverse opere nella sezione Un Certain Regard di Cannes, come “Les Amours imaginaires” (2010) e “Laurence Anyways” (2012) di Xavier Dolan, e nel 2019 ha fatto il suo debutto con “La Femme de mon frère”.

Questo sembra essere un film molto personale sulle esperienze sentimentali e sessuali della stessa regista, interessata a esplorare cos’accade quando una donna intellettuale, che è stata governata dalla sua mente viene improvvisamente e prepotentemente governata dal suo corpo.

Tuttavia, Chokri sceglie di affidare il ruolo principale di Sophia a qualcun altro invece che a se stessa, interpretando invece la parte della migliore amica della protagonista, Françoise.

È Magalie Lépine Blondeau, sulle cui spalle poggia in maniera sostanziale il film, ad interpretare i dubbi, le insicurezze, i rimpianti e la sensualità di Sophia, quarantenne professoressa di filosofia di Montreal, che ha una relazione con Xavier (Francis-William Rhéaume), intellettuale, borghese, progressista, come lei e i loro amici.

La protagonista sembra orgogliosa del suo tenore di vita. Il fatto che lei e suo marito dormano in letti diversi è per lei segno di una relazione seria, stabile e matura.

Quando Sophia compra uno chalet in montagna e deve ristrutturarlo, conosce l’imprenditore edile Sylvain, interpretato da Pierre-Yves Cardinal, meglio noto a livello internazionale come l’antagonista di “Tom à la ferme” (2013) di Xavier Dolan.

La semplicità eccitante e sconosciuta del contraente Sylvain, lontanissimo dal suo mondo, la attrae a prima vista, ed è così che si instillano i dubbi e inizia il dramma.  

Lépine Blondeau (con cui la Chokri aveva già lavorato nel corto “Quelqu’un d’extraordinaire”) è dotata di ottimi tempi comici e di un’abilità particolare nel raccontare la sensazione di colpa di chi non può evitare in alcun modo di commettere adulterio. La chimica con Cardinal, perfetto nel ruolo dell’affascinante e “semplice” Sylvain, funziona benissimo.

Monia Chokri offre una visione fresca, spregiudicata e squisitamente femminile sulla monogamia e i suoi limiti, attraverso un processo di ricerca di sé ben interpretato da Lépine Blondeau, riflettendo sui ruoli che la società assegna, ed esplorando le crisi di mezza età femminili, spesso non troppo investigate, e l’infedeltà femminile, storicamente trattata con una certa gravità, e qui invece in una modalità anche ricca di leggerezza e comicità.

La sceneggiatura è intelligente e caratterizzata da un’ironia in grado di mettere alla berlina convenzioni sociali e convinzioni personali, e rende il film coinvolgente, frizzante e fresco rispetto alle solite commedie romantiche smielate. I dialoghi, i costumi, il trucco, la scenografia, tutto caratterizza la diversa natura dei personaggi, eterogenei per status sociale, culturale ed economico.

È un film molto sessuale, con alcune scene appassionate, pur non essendo presente molta nudità. È uno struggente promemoria del fatto che, sì, il sesso è importante per tutti, uomini e donne, e per ogni tipo di rapporto, e non dovrebbe essere messo da parte – indipendentemente da quale parte del dibattito del film si finisca per essere.

I dialoghi, arguti, fitti, a tratti cinici ed esilaranti, pur non riuscendosi a liberare da un pensiero pessimistico che vede le relazioni eterosessuali e monogame destinate a seguire lo stesso ciclo di infatuazione-matrimonio-esaurimento del desiderio, propongono una serie di riflessioni sul romanticismo, tema spesso trascurato dalla filosofia e dall’etica – citando il pensiero di Platone, Arthur Schopenhauer, Baruch Spinoza, Vladimir Jankélévitch e Bell Hooks – senza però il rischio di risultare pedanti o didattici.

Nel complesso, il lavoro di Chokri è tanto sicuro quanto la sua protagonista, una donna capace di articolare chiaramente i propri pensieri ed esprimere i suoi desideri e di lasciarli andare quand’è il momento.

Chi si diverte molto è il direttore della fotografia André Turpin, collaboratore abituale di Dolan (la stessa Chokri è stata lanciata dall’amico regista, con cui ha raggiunto uno dei suoi migliori ruoli sullo schermo in “Les Amours imaginaires”, nel triangolo amoroso con Niels Schneider) : ne “La natura dell’amore”, la macchina da presa è una presenza attiva e anticonformista; l’estetica dai colori caldi e autunnali costruita dalla fotografia pastosa è audace e si spinge al limite del kitsch. Turpin fa uso di zoomate brusche dentro e fuori le inquadrature, che conferiscono alla narrazione un’ironica patina in stile pubblicità anni ’80, con un effetto quasi comico del tutto deliberato. L’occlusione intenzionale di sezioni dell’inquadratura attraverso oggetti di scena posizionati strategicamente, per coprire ad esempio i volti dei personaggi, è divertente, ma al contempo rimanda ad altre prospettive limitate, come a voler rappresentare le distanze che separano gli innamorati, che vengono poi improvvisamente ridotte dalla forza travolgente della passione.

L’estetica gioca anche nella rappresentazione della differenza di classe, che è spesso accentuata fino a sfiorare l’effetto cartoonesco. I costumi fanno la loro parte: nei primi incontri tra Sophia e Sylvain, lui indossa camicie a quadri in stile hipster della classe media negli anni 2010. Questo contribuisce a renderlo accettabile per lei, che è una snob, in un modo in cui alcuni dei successivi tentativi dell’uomo di abbellimento falliscono clamorosamente.

Suggestive le composizioni di Emile Sornin, che richiamano atmosfere malinconiche, lasciando trasparire il senso di un’opportunità mancata e di un tempo ormai trascorso irreversibilmente.

La natura dell’amore è un racconto sull’erba sempre più verde del vicino e sul desiderio di ciò che non si può avere. Forse è una triste realtà della natura umana che la volubile attrazione per il nuovo sia sempre in conflitto con il desiderio di rimanere nella zona di comfort, ma Chokri ha scelto di affrontare questo dilemma in una commedia intelligente, ironica e divertente.

LA NATURA DELL’AMORE (Canada 2023, Commedia, 110′). Regia di Monia Chokri. Con Magalie Lépine Blondeau, Pierre-Yves Cardinal, Monia Chokri, Francis-William Rhéaume, Steve Laplante, Marie-Ginette Guay, Micheline Lanctôt, Guillaume Laurin, Linda Sorgini, Mathieu Baron, Christine Beaulieu, Lubna Playoust, Johanna Toretto, Guy Thauvette. In sala dal 14 Febbraio 2024

 

 

 

Di Stefano Di Zazzo

Si occupa di arte, architettura, cinema d'autore, teatro e ricerca.