Se oggi pensiamo alla piazza di un centro abitato, la immaginiamo essere fulcro della comunità che vive nei pressi di quel luogo, paradigma di incontro, confronto, discussione, gioco, attività insomma che contribuiscono tutte alla crescita civile e sociale. Eppure non è stato sempre così. Vi sono stati tempi in cui una piazza era luogo per ospitare un processo pubblico, intentato con l’obiettivo di condannare la diversità, di scacciarla, di farla tacere per sempre, e, cosa ancora peggiore, in nome di ideali che si richiamavano alla religione cattolica, e con essa a precetti di pace, giustizia e fratellanza. Il 20 marzo 1428, nella piazza della cittadina umbra di Todi, un tribunale, creato ad arte dalla connivenza tra potere religioso e autorità civile, condannò al rogo Matteuccia di Francesco, accusata di stregoneria.
Questa storia tragica è ripresa teatralmente in “Processo alla strega”, atto unico di Silvano Spada ispirato a “Processo alla strega Matteuccia di Francesco” di Domenico Mammoli, e andato in scena, per la regia di Enrico Maria Lamanna, a Castrolibero (CS) nel corso della rassegna “Chi è di scena”. Nei panni di Matteuccia, Ornella Muti, insolita in un ruolo drammatico, e poi Massimiliano Vado, Marco Leonardi, Amerigo Fontani, Carolina Facchinetti, Barbara Marzoli e Ivan Bellandi. Una piéce complessa, legata a un tema non certo facile, che potrebbe sembrare anacronistico, se visto con gli occhi di oggi. Le scene di Chiara Paramatti creano un ambiente minimalista, in cui dominano, su tutto, una grande croce e poi il fuoco, che rimanda inevitabilmente al patibolo e al rogo, immergendo lo spettatore in un’atmosfera cupa e tragica, riuscendo a coinvolgerlo in toto. Va dato tuttavia atto a Mammoli, e con lui a Spada, di aver saputo cogliere il giusto filo che potesse portare la rappresentazione su tematiche di stretta attualità, e rimuovere quindi l’alone di anacronismo paventato all’inizio.
A far fede all’accusa verso Matteuccia, infatti, furono le iniziative della donna che operava nel campo delle erbe e accoglieva con rimedi naturali chi le si rivolgeva per alleviare le proprie sofferenze fisiche e morali, tra violenze e abusi consumati perlopiù nel segreto delle mura domestiche. Ecco allora che non esiste inquisizione che tenga di fronte a un tema ahinoi attuale ancora oggi: la donna umiliata e offesa, che viene accolta da chi, operando in modo indipendente dal contesto canonico, si pone in opposizione ad esso, scatenando le ira di un mondo dominato dal potere e dalla vessazione, dove l’uomo ha dominio assoluto, e dove, in nome di dettami evangelici veri solo sulla carta, la donna che cerca di alzare la testa e di andare controcorrente deve essere punita per stroncare sul nascere iniziative che abbiano il sentore dell’autonomia e dell’indipendenza. Matteuccia quindi diventa simbolo dell’indipendenza femminile, e come tale deve essere fermata con l’arma dell’astuzia e della crociata antidiabolica. Al pari delle Crociate, e di tutte le guerre sante perpetratesi fino ad oggi, che in nome di Dio hanno seminato e seminano sangue e violenza, il Vangelo serve come strumento del potere, per ammansire le folle e per rabbonirle, e per punire chiunque si ponga al di fuori da questa cerchia, anche predicando l’amore di Dio e l’amore per le sue creature. Sì, perché Matteuccia non era eretica, anzi. Matteuccia predicava l’amore verso Dio e verso tutte le creature, cercando di dare sogni e speranze a chi era traviato da un’esistenza di sofferenza e povertà, a partire dalle donne che non riuscivano a capacitarsi del fatto che i mariti che avevano sposato in Chiesa usassero contro di loro la violenza facendo credere che fosse amore, e mettendo da parte quel Cristo che aveva benedetto la loro unione.
Una drammaturgia forte e intensa, grazie al personaggio principale, ma soprattutto a quelli che hanno incarnato testimoni e accusatori: su tutti, Massimiliano Vado, l’accusatore per eccellenza, quel Lorenzo di Surdis ‘Capitano e Conservatore della pace della città di Todi e del suo distretto per la Santa Chiesa Romana e per il Santissimo Padre in Cristo e signor nostro Signore Martino per divina provvidenza papa V’ che, in nome di Dio, il 20 marzo 1428 fece morire un’innocente.

Idealista e visionario, forse un pazzo, forse un poeta, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…