Guardare il mondo da una fessura, che è la propria finestra. Per vedere, attraverso altre finestre, quello che succede dentro alle case della gente. Guardare da una fessura, proprio come fa un’ostetrica tra le gambe di una donna. Guardare da una fessura, per scorgere una vita. Creature di cui non sai niente, di cui perciò provi a immaginare la realtà. Perché si può guardare con gli occhi di un guardone o con quelli di un poeta. E se sei un guardone, vuoi vedere quello che gli altri fanno. Se sei un poeta, te lo devi immaginare.

Con “Pueblo”, una produzione Fabbrica in coproduzione con Romaeuropa Festival 2017 e Teatro Stabile dell’Umbria, Ascanio Celestini torna ad occuparsi degli ultimi, come già aveva fatto in “Laika”. Lo spettacolo, visto al Teatro Italia di Cosenza per la stagione 2018 del Progetto More di Scena Verticale, è un omaggio a quell’umanità senza nome che non riempie la tv o i rotocalchi. Persone abituate alla propria mediocrità, che vivono dolori piccoli e grandi, e con loro piccoli e grandi sogni che rappresentano lo stimolo ad andare avanti, a continuare a pattinare sul ghiaccio, in modo ondivago e buffo, e in equilibrio perennemente precario su un’esistenza sempre in credito di qualcosa. Perché troppo spesso, quando una storia inizia, la vita è già finita e ti trovi a rendertene conto in un letto d’ospedale o sul freddo asfalto di una periferia cittadina.

Così ecco Valentina, giovane cassiera di un supermercato, abituata a ricoprire un ruolo in cui le tocca sorridere sempre a tutti i clienti che incrocia, che a volte nemmeno la guardano. Valentina sorride sempre, anche quando non ne avrebbe voglia. Celestini, narratore in scena, la immagina regina di un fantomatico reame nel quale gravitano altre anime, altre esistenze, altri cuori. Ecco allora Domenica, la barbona che mangia con gli avanzi che riceve in regalo dal supermercato, e che è innamorata di Sahid, che faceva il facchino nel supermercato e che ora è dovuto tornare al suo paese, in Africa. Lei non l’ha dimenticato, e lo aspetta ancora, e con lui aspetta il grande prodigio di cui sarà protagonista.

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Tra ironia e disincanto, in una scena costruita in penombra, quasi a voler sottolineare l’intenzione di entrare nelle storie degli altri con discrezione, l’attore romano, accompagnato dalle musiche di Gianluca Casadei, ci regala un racconto umano emozionante e intenso, capace di toccare le corde più alte di un lirismo dal basso, quello che non ama i patetismi, i piagnistei, che rifiuta la pietà e la commiserazione, ma che pretende dignità. Pubblico attento e riconoscente, alla fine, per un applauso a scena aperta che travolge meritatamente Celestini. Dopo lo spettacolo, c’è spazio per un confronto aperto con gli spettatori, dal quale traspare evidente, se mai ve ne fosse stato bisogno, la sua forza: quella di trasportare sul palco storie di verità e di realismo, tratte dal suo modo di relazionarsi con la gente che incontra. In questo filone si inserisce benissimo il racconto del tempo passato, poche ore prima, con due uomini, un moldavo e un bulgaro, parcheggiatori abusivi nella piazzetta davanti al teatro cosentino. Un aneddoto en passant, che finisce per rappresentare l’occasione, ancora una volta, per comprendere, al di là di ogni grottesco paternalismo, quanto quella di Celestini sia una missione nobilissima, erede di una vocazione che non esitiamo a definire pasoliniana. Dar voce, senza giudicarle, alle minoranze, a quelle “estremità sociali” che l’incultura dominante della massificazione vorrebbe annullare in nome di un appiattimento universale e sterile. Anche questo è teatro militante. Anche questo è teatro politico.

PUEBLO, di Ascanio Celestini con Ascanio Celestini, Gianluca Casadei
suono Andrea Pesce
produzione Fabbrica srl
In coproduzione con Romaeuropa Festival 2017, Teatro Stabile dell’Umbria
Distribuzione Ass. Cult. Lucciola.
Foto di Angelo Maggio per Progetto More

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Di Luigi Caputo

Idealista e visionario, forse un pazzo, forse un poeta, ama l'arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia...

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