NoteVerticali.it_Ryan_Bingham_Roma_2Ryan Bingham & Full Band si sono esibiti in occasione della riapertura del Quirinetta Café Concerto a Roma, che dopo i fasti degli anni ’20 decide di tornare alla sua vocazione originaria, con un programma che ospiterà diversi artisti di fama internazionale e di differente genere di elezione attitudinale. Il primo è lui, Ryan Bingham, cantautore americano country-folk e blues-rock famoso negli Stati Uniti a seguito della vittoria di un Oscar 2010 per il miglior brano originale “The Weary Wind” – prodotta da T Bone Burnett – colonna portante malinconica del film “Crazy Heart” (2009), che ha portato per la prima volta la statuetta a Jeff Bridges nel ruolo del protagonista, il cantante folk alcolizzato Bad Blake. Bingham viene a Roma completo della sua band dopo il successo ottenuto in giro per L’Europa, e fresco dell’esibizione live di Milano che è stata “sold-out”. George Ryan Bingham all’anagrafe, nativo di Hobbs, è originario del Texas dove ha trascorso parte della sua infanzia, è maturato facendosi le ossa nei rodeo e si è auto-prodotto i suoi primi due EP. Il debutto ufficiale avviene nel 2007 per l’etichetta discografica Lost Highway Records – dell’ex chitarrista dei Black Crowes Marc Ford – con l’album Mescalito, probabilmente il suo lavoro più ispirato assieme al fervido blues-rock elettrico di Tomorrowland (2012), il primo prodotto dalla sua Axster/Bingham Records.

La scaletta del concerto prevede un mix dei cinque album ufficiale di studio, con la predominanza del primo, per un buon amalgama fra brani incisivamente country-rock e ballate folk, impregnate in un andirivieni di matrice tipica bluegrass. L’inizio è subito vivace ed emerge la verve in particolare dello straordinario violinista, letteralmente scatenato , dal palco è riuscito a trascinare la folla. Ryan dà il meglio di sé con brani che hanno segnato questa prima parte della sua carriera e in particolare raccoglie consensi pressoché unanimi quando decide di tornare ai primordi con la coinvolgente “Southside of Heaven”. Da lì in poi, pur essendo già nell’ultima mezz’ora di una cavalcata musicale della durata di circa un’ora e un quarto, sarà un crescendo, arricchito anche da imprinting con la bocca incollata su un’armonica. Le ballate in forma acustica “The Weary Kind” e “Every Wonder Why”, che Ryan suona da solo distaccandosi per qualche minute dal resto della band lasciata a riposo dietro la scena, riscaldano l’ambiente di un’aria invitante. Si salta e ci si scioglie nella sottile e persuasiva distanza tra un brano e l’altro. Lo spazio in piedi a ridosso della scena genera piccoli gruppi più e meno incollati al palco, dove la vitalità la fa da padrone. Colui che impugna la chitarra elettrice si esibisce in un assolo niente male, quando in chiusura i membri della band decidono di fare un ulteriore e definitivo passo nell’elettrificazione tipica di Junky Star e Tomorrowland. E lì si saluta quasi delusi per la fine.

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