Roma, centro del potere, oggi come ieri. E, oggi come ieri, Roma include nel proprio ventre Suburra, il luogo in cui si incontrano politica e malaffare, istituzioni e criminalità, siglando un patto di sangue che è probabilmente da sempre alla base dell’umana convivenza. Una società marcia, corrotta nel corpo e prima ancora nell’anima, fa da sfondo al film di Stefano Sollima, tratto dal romanzo omonimo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini. Una storia inevitabilmente figlia di “Romanzo criminale“, ma rispetto a quella più aspra e cattiva, se possiamo osare quest’ultimo aggettivo in relazione a una storia in cui nessuno pare muoversi per essere redento. Una Roma crepuscolare e maledettamente bagnata, in cui piove sempre acqua destinata non già a lavare ma ad insozzare ancor di più le lordure umane, una Roma che si sveglia ferita e che sembra agonizzare ogni giorno di più.
La vicenda è ambientata nei sette giorni che precedono il 12 novembre 2011, data a suo modo da ricordare nella storia politica recente del nostro paese, perchè segna il momento delle dimissioni di Silvio Berlusconi da Presidente del Consiglio. Per la narrazione è quello il giorno dell’Apocalisse, dove tutti i nodi della vicenda narrata vengono al pettine e, in una sorta di resa dei conti definitiva, tra personaggi che perdono la dignità e il rispetto acquisiti e personaggi che invece acquistano ciò che sembrava essere stato perduto per sempre. C’è chi, come l’on. Malgradi (magistralmente interpretato da Pierfrancesco Favino) vive la propria ipocrisia osteggiando un comportamento esteriormente irreprensibile ma intimamente immorale. E chi, come Samurai (a cui dà vita un ritrovato Claudio Amendola), dopo anni di militanza al confine tra terrorismo nero e criminalità comune, percorre sentieri periferici continuando a dettare la propria legge, e scontrandosi con le nuove leve del settore, dalla banda di Ostia, capeggiata da Numero 8 (Alessandro Borghi) alla tribù degli zingari guidati da Manfredi Anacleti (Adamo Dionisi), e desiderosi di fare il salto di qualità negli affari che contano. In mezzo, personaggi apparentemente minori, tra cui l’effimero pr (Elio Germano), la giovane tossica compagna di “Numero 8” (una sorprendente Greta Scarano) e l’escort amica di Malgradi (Giulia Elettra Gorietti). Caratteri che, dalla propria stazione periferica, acquisiranno un ruolo determinante ai fini della vicenda.
A pochi chilometri di distanza, in una capitale segnata dalla caduta nell’abisso, che respira solo per un attimo gli sprazzi decadenti de “La grande bellezza” sorrentiniana, vediamo sullo sfondo un Papa – che ha le sembianze di Benedetto XVI – intento a pregare e in preda a una grave crisi che lo porterà alla decisione di dimettersi. Uno scenario apocalittico che, allegoricamente, simboleggia la caduta di un sistema – politico e religioso insieme, quindi istituzionale per eccellenza – su cui non regge più alcun fondamento. L’incredulità mista a disperazione del giovane seminarista che raccoglie la confessione rinunciataria di papa Ratzinger e la confida al porporato corrotto che di lì a poco incontrerà Samurai, è forse la scena più drammatica di un film che non risparmia scene di violenza e guerriglia urbana, in un contesto nel quale lo stato sembra aver abdicato da sempre, e dove la spartizione del potere è un gioco al rialzo in cui il pericolo è dietro l’angolo, pronto a manifestarsi e a esplodere come un bubbone che ricopre ogni possibilità di remissione, cancellando ogni rispetto e ogni sacralità per la famiglia e i membri che al suo interno dovrebbero essere più protetti: le scene di violenza verbale o fisica, che si manifestano nei centri commerciali come nelle chiese o nei cimiteri, non risparmiano i nuclei familiari, e in questo casa Malgradi non fa differenza rispetto a casa Anacleti. L’impunità del sistema politico è forse troppo accentuata per sembrare reale, ma spesso la realtà ci ha sorpreso con manifestazioni di vergogna ben più evidenti: pensiamo a Mafia Capitale, e scorgeremo nel sistema ipotizzato dalla sceneggiatura cinematografica diversi punti in comune con la realtà dei fatti.
In sostanza, “Suburra” esprime un buon prodotto, sostenuto da una sceneggiatura corposa, da una cast ben affiatato e diretto, e da una colonna sonora azzeccata, in cui spicca la scelta di brani degli M83. Abbiamo già detto di Favino, capace di esprimere con perfetti tempi di recitazione un personaggio che ricama sapientemente da attore consumato. Bene anche Amendola e Germano, e una menzione particolare per Borghi e Scarano, che offrono spunti interessanti per caratteri di degrado in un contesto che è diretto parente della decadenza suburbana delle periferie. Non vi è però in loro indagine psicologica approfondita, ma resta un tracciato che avrebbe potuto essere sviluppato con maggiore convinzione. Nell’insieme, un film che vale la pena vedere, meglio ancora dopo aver letto il romanzo da cui è stato tratto.
SUBURRA (Italia 2015, Drammatico, 130′). Regia di Stefano Sollima. Con Pierfrancesco Favino, Claudio Amendola, Elio Germano, Alessandro Borghi, Greta Scarano, Giulia Elettra Gorietti, Adamo Dionisi. Rai Cinema/01 Distribution.
SUBURRA – Il trailer