NoteVerticali.it_Muse_Drones_coverNow I’m dead inside”. così si apre il nuovo, settimo per la precisione, album dei Muse.

Un album che annuncia il ritorno dei primi Muse, del rock puro, ma con qualche intrusione della moderna elettronica. Con The 2nd Law (2012), sesto album registrato in studio, il gruppo britannico inizia a sperimentare unendo rock e sonorità elettroniche, facendo storcere un po’  il naso dei fan affezionati al rock quello puro, della chitarra, del basso e della batteria. Così in Drones, Matthew Bellamy e compagni decidono di far riassaporare il gusto di quel buon vecchio rock “liscio”, senza fronzoli ed eccessive influenze.

Drones è un concept album, così viene definito, che segue un filo conduttore preciso, che traccia dopo traccia racconta la storia e le sensazioni del protagonista.

A raccontarsi è un soldato, chiamato a combattere una futura terza guerra mondiale, una figura che potrebbe essere facilmente essere associata alla rappresentazione simbolica di un’intera umanità ormai soggiogata e sottomessa alla tecnologia, rappresentata qui dalla figura dei droni.

L’uomo è sottoposto al lavaggio del cervello, “Free from your inciting, you can’t brainwash me, I’m a defector” (Defector), viene disumanizzato e privato della sua stessa anima “Save me from the ghosts, and shadows before they eat my soul” (Mercy), così da diventare uno strumento a sua volta.

I Muse hanno focalizzato l’intera attenzione sul tema della disumanizzazione, della guerra e la fine dell’umanità. Ma questa di per sé non è una novità. La band è infatti nota proprio per seguire questo filone detto appunto apocalittico. Così l’umanità in questa storia, inizia a perdere la propria fede, e come dice la prima traccia del disco, il protagonista muore dentro (Dead inside) e diviene vulnerabile alla compulsione delle macchine. Ma se con Dead inside, il sound sembra riprendere quell’elettronica ereditata dal precedente album, in Psycho si ritorna al rock duro. “Are you a human drone? Yes, sir!!” L’uomo inizia a perdere la propria anima, la sua mente è solo un programma che facilmente viene infettato da un virus mortale, che ne modifica la percezione esterna, rendendolo esclusivamente una marionetta nella mani dei droni.

NoteVerticali.it_Muse_1You were my oppressor, and I, I have been programmed to obey” così in The Handler, il protagonista realizza quale potrà essere il suo futuro. Diventare freddo e insensibile esso stesso come una macchina, che non è più capace di sentire emozioni, che non ha più la capacità di valutare cosa sia bene, cosa sia male, cosa sia la libertà, che provoca una solitudine straziante nata dalla mania di essere ovunque e chiunque.

Il rock appare così utilizzato come una vera chiave, come una voce che urla, che tenta di ribellarsi a questa oppressione, ed infatti sono proprio le tracce che esprimono questa voglia di trasgredire a questa legge marziale, a ricordare il rock vero quello semplice, ma riconoscibile e apprezzato (Reapers, Defector, Revolt). Il protagonista riesce a risvegliarsi da questo torpore, dall’annullamento, dopo aver ascoltato il discorso del presidente John Fitzgerald Kennedy (JFK, Defector), provando quindi a ribellarsi e credere che una via d’uscita esiste. Non manca la presenza, come di consueto per questo stile musicale, di una ballad, Aftermath, che parla di amore e di speranza, una speranza che nasce anche in chi è cresciuto combattendo e inizia ad esser stanco di questa miserabile esistenza, priva di controllo su se stessi. Il concept si chiude quindi con le ultime due tracce che esprimono la speranza di poter porre fine alla guerra, la voglia che l’umanità ha di ribellarsi e sopravvivere alla manipolazione (The Globalist) “It’s you and me babe, survivors”, che in Drones incontra un coro solenne, che canta l’ultima messa, la fine, la morte della madre, del padre, del figlio, della figlia. “Are you dead inside? Now you can kill. Amen.

NoteVerticali.it_Muse_3Il disco segnerebbe un ritorno di sonorità di un certo livello e si sviluppa in una precisa volontà di seguire fedelmente un tema. Il filo conduttore infatti non è mai abbandonato, la storia è sempre presente. Si gode piacevolmente della musica, anche se probabilmente la voglia di cambiamento incuriosisce ancora la band, che di tanto in tanto si lascia andare a sperimentazioni che a volte non rispecchiano la loro immagine “tradizionale”. Ma anche questa è una forma di libertà che espressa in musica, permette di non essere sottomessa a nessuna forza oscura, perché come canta Bellamy in RevoltOur freedom’s just a loay”, la libertà può anche essere gestita dalle macchine, dai droni che controlleranno ciò che resta dentro, ma tu puoi ribellarti. E il rock, infondo, non è (o forse sarebbe meglio dire era) anche l’espressione di questa ribellione?

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Di Suhail Ferrara

Palermitana di origini asiatiche. Amore per il cinema, le istantanee e le storie. Scrive per dar voce alle sue passioni e vivere la vita è la sua aspirazione più grande. “Carpe diem” il suo motto.